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Scuola lavoro, le chiavi del futuro

di Fabrizio Dacrema

27/01/2015
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ScuolaOggi

Giampaolo Galli ha recentemente ricordato una frase attribuita a Baruch Spinoza: “Un uomo colto che non conosca un mestiere prima o poi diventa un poco di buono”. L'autore dell'Ethica more geometrico demonstratanella vita si mantenne facendo il tornitore di lenti, convinto di garantire attraverso il lavoro la propria autonomia intellettuale e orgoglioso della proprie competenze professionali, probabilmente paragonabili ai tempi a quelle informatiche di oggi.

eologici che ancora oggi in Italia contrappongono la formazione alta e il sapere critico all'apprendimento delle competenze per il lavoro.

Su questa idea alta del lavoro, fonte di libertà e sapere, si basano le proposte che la CGIL presenterà il prossimo 3 febbraio (vedi locandina allegata) per aprire un ampio percorso di confronto, approfondimento e partecipazione che prevede prossimi appuntamenti nazionali e territoriali.

L'obiettivo è di migliorare il rapporto tra scuola e lavoro, superando resistenze e pregiudizi, certo, ma anche evitando luoghi comuni e formule retoriche.

Il modello duale tedesco, ad esempio, la cui imitazione è sempre più proposta con insistenza, è senz'altro una formula riuscita che assicura alla Germania bassissima disoccupazione giovanile e alta qualità del lavoro, ma non è esportabile in Italia perché, come tutti i sistemi educativi, è il risultato peculiare della storia e della cultura tedesche e di un sistema produttivo molto meno frammentato del nostro. Questo non significa che alcuni punti di forza di quel sistema non possano e non debbano essere sviluppati anche in Italia, a partire dalla capacità formativa delle imprese e dal protagonismo delle parti sociali.

L'introduzione, prevista dal piano del governo, dell'obbligo di alternanza di 200 ore l'anno negli istituti tecnici e professionali può rivelarsi una inutile scorciatoia se non si costruiscono le condizioni nelle scuole e nelle imprese che rendano possibili e proficue le esperienze di apprendimento in contesto lavorativo.

Miglioramenti effettivi nel rapporto scuola lavoro potranno effettivamente essere raggiunti solo attraverso la convergenza di più politiche - industriali, del lavoro, formative - coerentemente orientate all'innovazione e alla qualità.

Le imprese che investono nell'alternanza scuola lavoro e nella propria capacità formativa, ancora molto rare in Italia, considerano la qualità del lavoro il loro principale fattore competitivo e, per questo, puntano a competenze alte, e non solo curvate sui loro bisogni professionali a breve. Sono, infatti, consapevoli della crescente rilevanza dell'autonoma capacità di apprendere dei lavoratori  quale capacità fondamentale per fronteggiare le sfide poste dai sempre più rapidi e profondi cambiamenti scientifici, tecnologici e organizzativi. Sono questi i comportamenti di impresa che le politiche industriali e del lavoro dovrebbero incentivare al posto della ricerca della libertà di licenziare anche senza giusta causa. Se la Germania deve essere un esempio, allora dovrebbe essere  chiaro come si compete nel mercato globale: vince chi qualifica e fidelizza il lavoro non chi lo precarizza.

Il potenziamento del rapporto scuola lavoro non può che essere parte di una strategia generale di innalzamento delle competenze dei cittadini e dei lavoratori. Anche la politica scolastica deve convergere su questo obiettivo. La ripresa di una politica di investimenti nella scuola pubblica deve accompagnarsi a un progetto a medio e lungo termine finalizzato a superare i limiti strutturali del sistema formativo italiano che sono alla base del grave deficit cognitivo che ci separa dagi altri paesi sviluppati: la recente indagine Ocse-Piaac rileva il 70 per cento della popolazione 25-64 anni priva delle competenze minime per vivere e lavorare nel mondo odierno.

Gli investimenti e gli interventi contenuti nel piano del governo devono riconnettersi a un piano, pluriennale e progressivo, di incremento della quota di ricchezza nazionale investita nella conoscenza, fino a raggiungere almeno la media OCSE. Inoltre il piano deve indicare gli obiettivi di innalzamento dei livelli di competenza della popolazione italiana da raggiungere nei prossimi anni, a partire da quelli indicati da UE 2020. Già da questo primo investimento, previsto dal governo per stabilizzare i precari e creare una significativa quota di organico funzionale, le scelte dovranno essere pertanto coerenti con gli obiettivi di abbassare la dispersione almeno sotto al 10 per cento e di innalzare i laureati e gli adulti in formazione rispettivamente sopra al 40 e al 15 per cento. Senza accettare gli “sconti” contrattati dai precedenti governi per rendere compatibili i tagli alla scuola con obiettivi più vicini alla inaccettabile situazione attuale.

In questo quadro di innalzamento generale delle competenze, di base e professionali, si collocano con coerenza le proposte di miglioramento del rapporto scuola-lavoro finalizzate all'apprendimento di competenze che potenzino l'occupazione e l'occupabilità dei giovani.

La CGIL inizia questo percorso di confronto mettendo in campo sei idee (vedi documento allegato) che riguardano: l'orientamento per lo studio e il lavoro; i percorsi di istruzione tecnica e professionale e di istruzione e formazione professionale, la diffusione dei poli tecnico-professionali; la generalizzazione dell'alternanza e della didattica laboratoriale; la costruzione del sistema nazionale di certificazione delle competenze; il sistema degli istituti tecnici superiori; il ruolo delle parti sociali.

Quest'ultimo punto appare quasi preliminare alla riuscita di ogni proposta di miglioramento del rapporto scuola lavoro.

In tutte i paesi in cui ci sono esperienze riuscite di rapporto scuola-lavoro le parti sociali sono protagoniste della promozione e regolazione dei sistemi, il cui successo dipende dalla conoscenza aggiornata dei sistemi produttivi, delle nuove realtà lavorative e dalla conseguente reale spendibilità delle competenze acquisite nei percorsi formativi.

In particolare in Italia nessuna alternanza scuola-lavoro di almeno 200 ore annue potrà mai essere generalizzata, e tanto meno resa obbligatoria, senza la diffusione di accordi sindacali che la promuovano e la supportino. Le esperienze più innovative di alternanza (Enel e Ducati), dove una parte del curricolo viene appresa in contesto lavorativo, sono state introdotte da accordi sindacali che hanno, tra l'altro, regolato retribuzione e tutele dei giovani in apprendimento.

Il coinvolgimento attivo delle parti sociali è, inoltre, indispensabile per promuovere la capacità formativa delle imprese, anche attraverso la formazione e la valorizzazione dei tutor aziendali e la sperimentazione di prototipi per la realizzazione di esperienze di alternanza nelle piccole imprese - sono il 95 per cento delle imprese italiane - attraverso la costituzione di specifiche reti di imprese, la diffusione dei poli tecnico-professionali e la valorizzazione delle competenze della formazione professionale.

Appare pertanto evidente come il successo delle politiche di sviluppo del rapporto scuola-lavoro sia incompatibile con la prosecuzione di strategie del cambiamento caratterizzate dal solipsismo governativo e ministeriale.


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