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“Scuola-lavoro”, dopo due anni una rivoluzione in chiaroscuro. Per le imprese un bollino blu

Un milione e mezzo di ragazzi coinvolti, ma i sindacati denunciano “Mansioni slegate dalla formazione”. L’iniziativa di Confindustria

06/07/2017
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La Stampa

Fabio Poletti

Se la scuola è «buona» il lavoro è quello che è. Al secondo anno di applicazione dell’alternanza scuola lavoro introdotta con la legge 107 del 2015 fortissimamente voluta dall’allora premier Matteo Renzi si tirano le prime somme. Gli intenti erano forse pure lodevoli: «Favorire il senso di iniziativa e imprenditorialità degli studenti». Che tradotto vuol dire che gli ultimi tre anni di superiori, gli studenti sono chiamati a compiere pure un processo formativo in un luogo di lavoro. Per un totale di 400 ore in 3 anni per gli studenti degli istituti tecnici e professionali e 200 ore per i licei. Ma fino ad oggi manca un registro nazionale delle imprese, ai singoli istituti tocca un non facile strumento di controllo e qualche azienda avrebbe usato gli studenti come lavoratori tout court. 

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I dati del ministero della Pubblica istruzione prevedono nell’anno scolastico che va a iniziare che 1 milione e 500 mila studenti siano impegnati nel progetto scuola-lavoro. L’Unione degli Studenti ha condotto una ricerca tra 15 mila studenti e ha scoperto che il 57% di loro ha svolto lavori che non c’entrano con il piano di studi, il 40% ha denunciato la violazione dei loro diritti e l’87% di loro vorrebbe poter decidere del proprio percorso. Marco Bussetti, direttore generale dell’Ufficio scolastico di Milano e provincia ammette che la sperimentazione è solo all’inizio: «Siamo riusciti a fare tanto ma non è un lavoro semplice per le scuole». Agli istituti scolastici tocca stipulare le convenzioni ma allo stesso tempo organizzare i tutor chiamati a vigilare sui luoghi di lavoro. «Le aziende non devono in nessun caso impiegare gli studenti come sostituti dei dipendenti». 

Qualche denuncia è stata fatta. Nel mirino era finita McDonald’s che usava gli studenti per l’accoglienza alla clientela e per il servizio ai tavoli. Oppure Autogrill con la foto diventata virale sui social media di una ragazza dietro al bancone con la maglietta con il logo «Alternanza scuola lavoro». Le aziende avevano respinto ogni sospetto. Ancora oggi hanno regolari contratti con il ministero della Pubblica Istruzione. Ma per maggior trasparenza Confindustria ha annunciato che le aziende migliori e più attente saranno certificate con un bollino blu. Caterina Spina insegnante della Cgil a Milano prova a rovesciare la questione: «Il modello che è stato delineato non permette quel valore didattico che avremmo voluto. La centralità deve essere quella dei ragazzi non del fabbisogno produttivo delle aziende. Ci sarebbe voluto un registro delle imprese, un rapporto diretto con le camere di commercio. I casi di McDonald’s e Autogrill sono quelli finiti sui giornali ma ce ne sono molti altri. Non basta parlare di buona scuola solo perchè si parla di alternanza scuola e lavoro. Innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni sarebbe ancora più utile».  

L’impressione è che l’alternanza scuola e lavoro funzioni meglio dove le scuole sono più attrezzate e dove l’offerta lavorativa è più ampia. Maria Silvia Boccardi è il dirigente scolastico del liceo linguistico Sophie Scholl di Trento, la prima scuola in Italia a diplomare studenti in mandarino: «Il problema organizzativo per le scuole non è poco. È impensabile riuscire a seguire tutti i ragazzi. I tutor riescono a fare giusto qualcosa. Di per sè il progetto è giusto: serve ad allargare la mente ai ragazzi e anche a fornire un orientamento lavorativo anche in negativo: più di uno studente dopo aver provato mi ha detto “non farò mai quel lavoro”. Da noi in Trentino ci ha aiutato molto la politica. E come liceo linguistico abbiamo avuto una marcia in più con le aziende. Penso quali problemi devono affrontare al Sud dove c’è pure meno lavoro».  

Gli studenti di Trento hanno lavorato come guide e accoglienza ai visitatori al castello del Buonconsiglio, al Festival dell’Economia o come interpreti in alberghi. A Francesco, studente milanese del liceo classico Manzoni è toccato un grande giornale il primo anno e poi l’ufficio anagrafe del Comune: «Abbiamo visto come nasce un giornale e in Comune fornivamo i pin alla clientela per i servizi informatici. Non è che puoi sempre scegliere il lavoro che farai da grande ma per come è stata organizzata la cosa è difficile lasciare agli studenti la possibilità di trovare un’occupazione adeguata al proprio piano di studi. Alla fine il lavoro che fai ti viene imposto. Ma a uno come me del liceo classico cosa gli fai fare a 16 anni?».  


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