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Scuola lavoro “Buona idea, ma male applicata” ecco perché l’alternanza divide

Quest’anno coinvolgerà 1,3 milioni di ragazzi delle superiori. Tanti i nodi irrisolti dal monte ore alla qualità delle esperienze nelle (poche) aziende coinvolte

14/10/2017
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la Repubblica

Corrado Zunino

Dicono, gli studenti in tuta blu ieri in piazza: ci fanno fare le fotocopie. Dicono quelli dell’Artistico: sei giorni al museo di Palazzo Venezia e non sapevamo quali opere fossero esposte, che cosa dovevamo presentare. Dicono, e dettagliano poi alla sede della Cgil, sessanta studenti delle professionali: ci sono padroni di un call center che citano “Arbeit macht Frei” e Auschwitz per farci lavorare di più. Non uno, però, studente tradito o arrabbiato che sia, dice: torniamo indietro, annulliamo l’Alternanza scuola lavoro.

Quelli che sono in piazza — un buon numero, cinquemila a Roma, duemila a Milano, cinquantamila almeno in 70 città d’Italia — raccontano storie di alternanza tradita, a volte di sfruttamento gratuito: «Peggio, i trasporti e il pranzo ce li dobbiamo pagare». In media, si è stimato, 72 euro a testa. Dicono tutti, però, proprio tutti: è una bella idea. E se poi si va a vedere il sondaggio che hanno allestito gli stessi organizzatori dello sciopero dall’Alternanza intervistando quattromila studenti, il 51 per cento assicura che la sua esperienza è stata positiva. La metà abbondante. Il 33 per cento dice, invece, che è stata «molto negativa». Una minoranza numerosa e ferita.

«Sul lavoro dobbiamo fare qualcosa di più vicino ai nostri programmi». Poi: «Troppe ore, ci toglie tempo allo studio e ai momenti liberi. Ottenere la certificazione è diventata un’ansia». Ancora: «Alcune scuole ci abbandonano in azienda, altre chiedono di trovarci da soli la bottega». Le proposte per migliorarla quest’Alternanza, sì, in piazza ci sono.

Il sottosegretario Gabriele Toccafondi, alfiere della riforma inserita nella Buona scuola (legge dal 13 luglio 2015), rilancia: «Io ho fatto l’alternanza da studente, a Firenze. Nel 1989.

Ero iscritto all’istituto turistico e scoprire in un’agenzia di viaggi come si faceva un biglietto è stata una lezione di inglese, francese e tecnica turistica. Tutto insieme, per quattro settimane. Mi ha aperto un mondo».

Siamo al terzo anno di Alternanza strutturata, allargata anche ai licei: nel 2017-2018 muoverà 1,3 milioni di ragazzi e Toccafondi dice ancora: «La verità è che dobbiamo allargare la platea delle aziende che ospitano gli studenti. Cresceranno le offerte, i ragazzi potranno scegliere con più libertà, la qualità della didattica sul lavoro crescerà. Vorrei ricordare che nel 2014 la situazione era questa: 44 per cento di disoccupazione giovanile, 2,4 milioni “né studio né lavoro” e ragazzi senza competenze respinti dalle aziende dopo la Maturità».

Oggi le imprese che hanno sottoscritto accordi nazionali sono solo 56 (arriveranno a 100, dice Toccafondi). Settantasette quelle regionali. Il numero diffuso dal Miur di 206.000 “strutture ospitanti”, di cui 131.000 imprese non è solo sovrastimato (un’impresa che ospita quattro scuole è contata quattro), ma tiene dentro di tutto: realtà contattate dalle scuole, trovate dagli studenti, altre che si sono offerte senza passare da ministero e Uffici scolastici. Ecco, proprio qui c’è un problema centrale: presidi disperati e non preparati hanno tirato dentro l’Alternanza scuola lavoro quello che hanno trovato, soprattutto al Sud, dove le aziende larghe sono poche. Ancora Toccafondi: «Dobbiamo portare nel progetto le piccole e medie imprese, il settanta per cento della realtà industriale italiana. Per questo abbiamo immesso nel sistema i voucher, da 400 a 1.300 euro. Le imprese sotto i quindici dipendenti vanno ricompensate per lo sforzo di seguire i ragazzi. Per ora abbiamo trovato interesse in trenta province. Gli studenti contestano i voucher, ma sarà il modo con cui otterremo un’ospitalità all’altezza del progetto».

«È innovazione didattica, non apprendistato», dice la ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli. E annuncia gli Stati generali sul tema per il 16 dicembre prossimo: «Chiamerò tutti i rappresentanti dell’economia reale, questa è una responsabilità di tutti».

Roberto Contessi, docente al liceo Giulio Cesare di Roma, autore di “Scuola di classe”, dice: «Nessun soggetto coinvolto nell’Alternanza scuola lavoro è preparato. Non lo sono i professori, restii ad accettare un metodo di insegnamento che non è nelle proprie mani. Non lo sono le aziende italiane, prive di una vera cultura della formazione. Men che meno sono preparati i ragazzi, che vedono ogni attività scolastica fuori dall’aula come un’imposizione o un abuso. Deve diventare naturale, invece, risolvere un’equazione di secondo grado in classe e poi dare una mano nella progettazione di un programma che aiuti i cittadini a comparare compagnie telefoniche. Questa è la scommessa: fare scuola nei luoghi deputati al lavoro».


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