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Scuola gratis per tutti? Le famiglie “pagano” i supplenti

le scuole dello Stato ormai funzionano con oneri privati e le scuole private con oneri pubblici

15/09/2012
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Di Mila Spicola

Sappiamo come il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo abbia sostanzialmente assunto e approvato i provvedimenti Gelmini come «lotta allo spreco e conseguimento di una migliore efficienza del sistema d’istruzione italiano, perché a via di sprecar denaro non ne rimane nulla per premiare i docenti e gli alunni meritevoli».

Sappiamo anche della sua predilezione per una scuola moderna, competitiva, tecnologica, dotata di tablet, di lavagne multimediali, di e-book, di connessione e di “metodologia 2.0″. Tra i proclami di Mariastella Gelmini, da me metodicamente conservati, ce n’era uno che, miracolosamente, mi trovava d’accordo: «La scuola pubblica (o per meglio dire: statale) non deve costare. Con troppa leggerezza si chiedono contributi volontari alle famiglie. Sono assolutamente contraria». Poi continuava: «Va evitata questa prassi giustificata solo da incapacità gestionali dei dirigenti».

A rigore (la parola è rigore) anche Profumo dovrebbe pensarla così. In realtà tutti dovremmo pensarla così anche perché, a rigore (la parola è rigore) sarebbe illegale perché l’art. 34 recita che «L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita». Obbligo che arriva oggi fino al secondo anno delle superiori. Eppure la mia amica Valentina, a Palermo, mi comunica che l’iscrizione in 5° ginnasio di Giuseppe le “costa” 100 euro, così anche Manuela, liceo scientifico a Milano, paga ben 150 euro. «Ma tu lo sai che potresti non pagare? Che il tuo è un “contributo volontario”?». Alcuni lo sanno e altri no, non sempre la scuola specifica, entrambi però pagano.

Il prof. Mario Rusconi, preside e vicepresidente dell’ANP, Associazione Nazionale Presidi e Alte Professionalità della Scuola, così sintetizzava: «Se non ci fossero i contributi volontari dei genitori non ci sarebbero i soldi nemmeno per comprare la carta igienica o cambiare le lampadine». Perché tra gli sprechi saggiamente eliminati dai tagli c’erano proprio i fondi di funzionamento dati dallo Stato alle scuole che si sommavano ad altri fondi di funzionamento dati dagli Enti Locali. Ma anche questi sono stati eliminati e dunque? E dunque non solo le lampadine ma persino i supplenti sono stati pagati in alcune scuole con il Contributo Volontario.

Il C.V. è stato normato dalla legge Bersani L. 40/2007 che lo definisce «un’erogazione liberale a favore degli istituti scolastici di ogni ordine e grado», detraibile dalle tasse, cosa che non tutti i genitori conoscono, perché se no dovrebbero sapere anche che è una donazione volontaria e non un’iscrizione (inoltre se la scuola utilizza quei fondi per gli stipendi o per le spese di pulizia la detrazione non spetta più).

Secondo la norma i C.V. infatti dovrebbero essere finalizzati unicamente «all’innovazione tecnologica, all’edilizia scolastica e all’ampliamento dell’offerta formativa», nella realtà le scuole li utilizzano spesso per coprire le spese ordinarie: materiale di pulizia, manutenzione ordinaria e straordinaria, fotocopie, anticipi di stipendio per supplenze brevi.

“Erogazione liberale” vuol dire che se io sono Sergio Marchionne (anche se i molto ricchi difficilmente lasciano i figli nelle scuole statali) e voglio contribuire alla scuola statale in cui va mio figlio posso farlo con un contributo libero. Ma se io sono povero va da se che non me lo devi chiedere. E invece accade. Si fissa una quota, diversa da scuola a scuola (varia da 40 euro a 150 euro), ma dentro la scuola uguale per tutti c’è quella che devono pagar tutti. Le ingiustizie dell’uguaglianza.

«Se tutti hanno il cellulare allora tutti possono pagarlo il C.V.», sento ripetere spessissimo. Però Profumo vuole sanare questa contraddizione e dunque a marzo 2012 arriva la circolare 312/12. Con due snelle pagine su “Contributi scolastici delle famiglie“ il Ministero dell’Istruzione ha fatto piazza pulita di tante prassi poco trasparenti attuate da scuole di tutta Italia e ha riconfermato, punto per punto, ciò che sosteniamo da anni: che il contributo delle famiglie è volontario e non obbligatorio; che è detraibile; che va usato con trasparenza; che i genitori possono finalizzare il loro contributo; che non ci si possono pagare le spese amministrative. Ma tutto questo Valentina non lo sa e nemmeno Manuela.

E «pagano l’iscrizione». Non sanno nemmeno che le scuole statali italiane, “alla canna del gas”, (altro che 2.0), oltre ai fondi tagliati da anni avanzano dallo Stato non lavagne multimediali ma crediti, cioè soldi, i cosiddetti residui attivi (in genere per supplenze di cui si è anticipato il pagamento) e pure parecchi, per un valore superiore al miliardo e mezzo di euro. E’ tutto un non sapere. Ma in tempi di crisi chi si arrischia a lamentarsi? Tempi in cui le scuole dello Stato ormai funzionano con oneri privati e le scuole private con oneri pubblici. Esattamente il contrario di come afferma la legge. Per noi “premiare il merito” vuol dire, come prima cosa, seguir la legge e la Costituzione come bussola del vivere comune, poi viene tutto il resto.

 

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