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Scuola e convivenza civile: più ore in aula per ripartire

Nei Paesi più avanzati d’Europa l’attività si protrae sempre nel pomeriggio, in Italia di solito finisce alle 13. Una proposta per il «tempo lungo»

03/08/2019
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Corriere della sera

Attilio Oliva

rima di tutto un dato significativo: da una indagine di TreeLLLe, è emerso che nei Paesi avanzati d’Europa l’attività scolastica si protrae sempre nel pomeriggio (almeno fino alle 15 e spesso alle 17). In Italia invece, la scuola, in generale, chiude alle 13 e poi... tutti a casa, studenti e insegnanti. Questo avviene in un Paese in cui, secondo l’indagine Ocse-Piaac, il livello di «analfabetismo funzionale» (cioè l’incapacità di tradurre in azioni efficaci quello che si è appreso) riguarda ben il 30% della popolazione adulta, mentre in Ue riguarda solo il 15%. Purtroppo sono di questi giorni gli sconcertanti dati Invalsi (istituzione indispensabile per rilevare gli apprendimenti in maniera oggettiva e confrontabile) che ci dicono che lo stesso 30% di analfabetismo funzionale vale purtroppo anche per la nostra popolazione in età scolastica.

Sconcertano anche i dati di una indagine TreeLLLe-Makno (2016) sui giovani tra 19 e 23 anni, da cui risulta che tre su quattro dichiarano che «mai o quasi mai» i loro insegnanti hanno trattato temi di educazione civica (e che non hanno mai letto la Costituzione italiana). Ma, attenzione: oggi a 18 anni si vota. Emerge un grave ritardo socio culturale del nostro Paese rispetto ai Paesi avanzati, che ne ipoteca sia il progresso civile che economico.

È realistico pensare che la scuola, così come è oggi, possa riuscire a recuperare questo grave ritardo storico? La risposta è no, se non si vuole continuare ad illudersi come si è fatto per decenni. Se, come si è visto sopra, la grande malata è la società civile, la scuola può sperare di avere successo come fattore correttivo solo se da un lato dispone di molto più tempo e dall’altro di un corpo di insegnanti diversamente formati. Di questo secondo punto, su questo quotidiano, abbiamo scritto qualche settimana fa. Oggi vogliamo insistere sul fattore tempo.

Pare a noi che occorra affidare i bambini alla scuola il più precocemente possibile, nell’età in cui si forma il linguaggio e si strutturano i comportamenti sociali, almeno fin dai tre anni (scuola d’infanzia) così da ridurre al minimo i condizionamenti socio-culturali negativi (che poi sarà difficile recuperare) di tanta parte della nostra popolazione adulta che vive tuttora in situazioni culturalmente deprivate. Ma pensiamo anche che la scuola debba avere a disposizione un «tempo lungo» di durata quotidiana, necessario soprattutto per i più deboli ed emarginati (ma anche per curare le eccellenze). E poi, un altro problema di fondo: una scuola che è diventata «per tutti» non può più limitarsi a «istruire», ma deve fare proprio anche l’obiettivo di «educare a vivere con gli altri», nel rispetto reciproco e all’interno di un insieme di regole condivise. Invece gli studenti oggi si formano anche e molto fuori dalla scuola: di qui l’importanza di una scuola che si faccia carico di dare ragione, senza rinunciare allo spirito critico, dei valori di base della nostra civiltà. Come tutte le «educazioni», anche questa richiede tempi lunghi.

TreeLLLe ha formulato una proposta forte (nel sito www.treellle.orgvedi la pubblicazione «Il coraggio di ripensare la scuola»): una scuola con un ingresso precoce, cioè una scuola obbligatoria dai 3 ai 14 anni a curricolo unico, con un «tempo lungo» per tutti (5+mensa+3 ore). Per la scuola secondaria superiore (dai 14 ai 19 anni) TreeLLLe propone che le scuole offrano un tempo lungo «opzionale», ma attrattivo grazie all’offerta di un palinsesto di «attività» a largo spettro tra cui i giovani possano scegliere sulla base dei loro bisogni e interessi (arti, musica, sport, alternanza scuola-lavoro, volontariato sociale e ovviamente, dove necessarie, attività di sostegno allo studio).

In sostanza, una scuola diversa, dove si alternino lezioni ad «attività» formative per sviluppare anche la dimensione personale e quella civica e sociale degli alunni. Di massima, le ore pomeridiane non dovrebbero essere dedicate a lezioni, ma ad attività che sviluppino l’intelligenza emotiva e puntino a far emergere i vantaggi della collaborazione e della solidarietà, senza lasciare spazio al bullismo e ai comportamenti asociali. Nelle secondarie, sarà necessario dare più spazio alle scelte individuali, così da invogliare i giovani a passare a scuola più tempo, sottraendoli alle sirene di un tempo vuoto (o peggio) che li potrebbe attendere fuori dalla scuola.

Altre buone ragioni per il «tempo lungo»: offrire un importante servizio sociale alle famiglie; rendere possibile l’esercizio dell’autonomia delle scuole che potrebbero finalmente progettare un’offerta su misura della utenza, fuori dalla rigidità delle ore curricolari antimeridiane. Una scuola a tempo lungo, pensata per educare oltre che per istruire, potrebbe essere un buon antidoto ai rischi di familismo amorale, alla scarsità di spirito comunitario e di senso dello Stato che perdura in tante fasce sociali e in tante aree del nostro Paese (specie nel Sud). Come si vede il tempo-scuola può contare molto, ma è la qualità professionale degli educatori che conta anche di più: i bravi insegnanti saranno anche bravi maestri di vita se riusciranno a fare sì che i giovani lascino la scuola avendo interiorizzato tre fondamentali linee guida per stare al mondo in modo utile e gentile: il rispetto per gli altri, lo spirito collaborativo e la curiosità per continuare ad apprendere.


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