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Scuola, alle Camere 40 giorni per dire sì

Lo scadenzario del governo per non mettere a rischio le 160mila assunzioni promesse: “Il primo settembre tutti in cattedra” Il sottosegretario Faraone: “Giusto che il Parlamento discuta il piano. Ma se non lo approverà entro il 15 aprile, faremo il decreto”

05/03/2015
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la Repubblica

Corrado Zunino

Quaranta giorni per approvare un disegno di legge sulla Buona scuola. Andata e ritorno, Camera e Senato (e ancora Camera, di fronte a cambiamenti nel secondo ramo). Sono questi i tempi — da record — che il governo e il ministero dell’Istruzione si sono dati, e danno al Parlamento, per aprire e chiudere l’iter della riforma sulla scuola senza ricorrere a un decreto d’urgenza. Il premier Matteo Renzi, con lui il sottosegretario Davide Faraone, non vogliono separare i “160mila da assumere” dai restanti 33 articoli di una riforma ampia, organica, ambiziosa. Non vogliono l’assumificio: hanno sempre venduto un programma di lungo periodo a cui affiancare gli insegnanti necessari e la fine della precarietà scolastica. Tutto insieme. Così, ora, hanno messo in cima alle ipotesi di lavoro questa: opposizione e maggioranza (e opposizioni all’interno della maggioranza) possono discutere di scuola e approdare a un voto sui singoli articoli entro il 15 aprile.

Tecnicamente è possibile. La sfida del disegno di legge è sì aperta a tutti, ma chiede a tutti, a Forza Italia, al Movimento 5 Stelle, allo stesso Pd, una rapidità fin qui mai vista. Con un calendario serrato e senza ostruzionismo, in Parlamento — sostiene Renzi — si potrà parlare di governance della scuola, autonomia scolastica e valutazione cambiando magari qualche passaggio, ma chiudendo subito dopo Pasqua. Gli uffici di gabinetto del Miur hanno calcolato che oltre quella data diventerebbe difficile non solo portare i precari in cattedra, ma anche organizzare un organico funzionale funzionante.
Se in aula il viaggio della “Buona scuola” dovesse dimostrarsi periglioso, il governo ritirerebbe il “ddl” per trasformarlo in un decreto legge, immediatamente operativo. «Se il Parlamento dovesse dimostrare di non essere collaborativo e celere», dice il sottosegretario Faraone, «interverremo per garantire legittimi diritti a studenti, docenti e presidi già dal prossimo anno».
Il giorno dopo l’annuncio di rinvio a Palazzo Chigi, questo è il lavoro in corso. È stata accantonata la possibilità di procedere subito con l’assunzione dei primi 36mila docenti necessari per coprire il turnover (19mila in pensione) e i posti liberi oggi coperti da precari (17mila), a cui poi aggiungere 15mila insegnanti di sostegno. L’infornatina d’annata — 51mila in tutto — si potrà fare a luglio: 50 mila subito non è necessario e sarebbe deludente per una platea di supplenti a cui si è sempre raccontato che ne sarebbero stati stabilizzati il triplo. È sempre possibile che alcune questioni specifiche — valutazione, formazione degli insegnanti, asilo unico da 0 a 6 anni — entrino in una legge delega del governo.
Renzi è partito per le missioni all’estero spiegando ai suoi che, in verità, nella bozza ministeriale del decreto “La Buona scuola” alcuni problemi c’erano. Il più serio: aver mischiato urgenze (le assunzioni) con elementi di didattica e carriera che potevano essere più tranquillamente discussi. Nella serata di lunedì, ascoltati i suoi, in pochi minuti — come spesso gli accade — ha deciso di rovesciare il tavolo e togliere di mezzo il decreto. Il giorno dopo il premier è stato duro con la Giannini, piccata per il cambio in corsa: un anno di lavoro poteva produrre qualcosa di più equilibrato, l’ha rimproverata. In conferenza stampa a Palazzo Chigi, poi, ha mostrato la sua irritazione e rimandato ogni scelta al Consiglio dei ministri di martedì prossimo. In Parlamento si troverà una convergenza sullo sgravio fiscale per le paritarie: ieri si è spesa anche la senatrice Rosa Maria De Giorgi, fiorentina, renziana di lungo corso. Susanna Camusso, segretario Cgil, ha avuto parole dure su tutto: «Di nuovo annunci ripetuti e promesse esercitate, ma più in là si va nel tempo e meno credibile è la stabilizzazione dei precari». Tra i 140mila supplenti delle Graduatorie a esaurimento si è diffusa una paura sostanziale. Sul decreto fin qui vivente si parla di soppressione delle Gae «a decorrere da settembre 2015», ma ad oggi non vi è alcuna certezza sul destino dei precari ospitati e, anche di fronte a una regolarizzazione di 90 mila tra loro, per 50 mila resterebbe solo la possibilità del concorso pubblico.

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