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Scuola, a rischio il ritorno in aula Ora anche i presidi sono scettici

Il piano del governo prevede il 50% di presenze alle superiori dal 7 gennaio e il 75% dal 15

29/12/2020
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La Stampa

Luca Monticelli

Roma

A nove giorni dal rientro in classe crescono i dubbi sul timing dettato dal governo per la ripresa della didattica in presenza in tutta Italia. La Campania ha già annunciato una road map diversa e ora al ministero dell'Istruzione temono che da qui alla Befana possano arrivare altre ordinanze regionali che posticipino il ritorno sui banchi. Ad alimentare lo scetticismo però non c'è solo il governatore Vincenzo De Luca, sono in tanti infatti a criticare il piano previsto dall'esecutivo: presidi in testa ma anche sindacati e una buona parte del Parlamento, dall'opposizione a Italia viva, gettano ombre sul riavvio delle lezioni.

Il Dpcm del 3 dicembre aveva stabilito dal 7 gennaio la didattica in presenza al 75% per le superiori, le uniche ancora alle prese con la Dad. Poi, il 23 dicembre, governo, Regioni, Comuni e Province avevano siglato l'intesa sul rientro al 50% per arrivare al 75% da venerdì 15 gennaio. Oltre alla Campania, erano state Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Liguria (le prime tre amministrate dalla Lega e la quarta da Giovanni Toti) a puntare i piedi e ottenere una soglia più bassa da cui partire. Le linee guida approvate

prevedono tavoli nelle prefetture per giungere a una rimodulazione dell'orario delle superiori e a una riprogrammazione dei servizi del trasporto pubblico locale. Agli istituti viene assicurata la flessibilità di cui hanno bisogno nel gestire le classi e organizzare la settimana, ma le indicazioni dei prefetti dovranno essere attuate.

Il 24 dicembre il ministero della Salute ha pubblicato un'ordinanza che garantisce «l'attività didattica in presenza al 50% della popolazione studentesca» dal 7 al 15 gennaio per le scuole superiori.

«Come si fa a dire "si apre" senza verificare il 3-4 gennaio la situazione?», ha reagito De Luca. E il suo assessore all'Istruzione, Lucia Fortini, ha annunciato un ritorno sui banchi per gradi: il 7 gennaio le prime e le seconde elementari, l'11 le altre classi della primaria, il 18 le medie e il 25 gennaio le superiori. Tappe che però saranno valutate in base ai contagi.

Acque agitate anche nel Lazio dove la Flc Cgil, i dirigenti scolastici e decine di istituti hanno giudicato inattuabile il piano del prefetto di Roma. A preoccupare sono i turni scaglionati di entrata e di uscita, le mense e i mezzi pubblici. Il presidente dell'associazione presidi di Roma e Lazio Mario Rusconi si fa portavoce di un disagio diffuso: «Le indicazioni prescrittive del prefetto non possono trovare piena attuazione data la complessità del sistema che riguarda il funzionamento delle superiori».

«L'avvio dell'anno scolastico rappresenta un momento di elevata criticità», ha ammesso ieri la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, in un'audizione alla Camera. La pianificazione degli orari delle città, dalle scuole agli uffici fino ai negozi, è «indispensabile» per evitare assembramenti e «il 7 gennaio l'offerta dei trasporti deve essere già pronta per l'apertura delle scuole». L'opposizione va all'attacco: il portavoce dei gruppi parlamentari di Forza Italia, Giorgio Mulé, parla di «scaricabarile sui prefetti» e di «un piano che non c'è». Il numero uno dei deputati di Fratelli d'Italia, Francesco Lollobrigida, rincara: «De Micheli non offre alcuna soluzione, il governo è in stato confusionale». Ma i rilievi più duri arrivano dal campo della maggioranza. I renziani fanno partire una raffica di comunicati: «Preoccupano i ritardi del Tpl, non si può sbagliare»; «La riapertura al 50% è una sconfitta»; «Conte mantenga la parola sulla ripresa dopo la Befana», le accuse lanciate rispettivamente da Luciano Nobili, Gabriele Toccafondi e Raffaella Paita. Le 13 città metropolitane saranno un banco di prova per la scuola e così una stoccata al premier Giuseppe Conte e alla ministra Lucia Azzolina proviene dal sindaco Pd di Firenze, Dario Nardella, che voleva iniziare subito con la didattica in presenza al 75%: «Questa marcia indietro denota fragilità e paura di fallire. Se un Paese non pensa alla scuola non ha un futuro, in questi mesi gli studenti hanno già pagato il prezzo più pesante in termini personali e psicologici». —


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