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Roncaglia: la scuola del Covid è un incubo e la Dad non è un nemico

Credo sia razionale suggerire per i prossimi mesi non una scuola a distanza sempre. Serve la capacità di modulare presenza e distanza con soluzioni che possono essere diverse per gradi scolastici e per situazioni diverse

28/10/2020
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Corriere della sera

Gino ROncaglia*

Le occasioni di dibattito pubblico sulla scuola sono sempre utili e benvenute. Purtroppo, però, nell’epoca del Covid-19 questo dibattito sembra ridursi esclusivamente all’alternativa fra didattica in presenza e didattica a distanza. Due alternative troppo spesso presentate – da ultimo in molte reazioni all’ultimo Dpcm, che prevede il rafforzamento al 75% della didattica a distanza nelle scuole superiori – non già come articolazioni diverse della risposta del mondo della scuola alla drammatica realtà della pandemia globale, da dosare in funzione della situazione epidemiologica e del contesto, ma come rappresentative di due idee diverse e inconciliabili di scuola. Non è così, e non deve essere così. Che la scuola sia spazio di relazioni, socialità e interazione anche fisica, e che abbia quindi bisogno della presenza, è indubbio e non è messo in discussione da nessuno.

Ma la scuola non è un mondo a parte, un’isola autoreferenziale separata dal contesto sociale in cui opera. L’attenzione verso gli altri e in particolare verso i più deboli, la cultura della responsabilità, l’attenzione alle indicazioni che vengono dal mondo della scienza, sono parte essenziale del suo lavoro formativo. Nella situazione drammatica che stiamo attraversando, la scuola ha l’obbligo di chiedersi se davvero la presenza sempre, comunque e a qualunque costo sia la strategia migliore, sia per limitare la diffusione della pandemia, sia per rispondere alla sua missione educativa. Tenendo certo conto dell’enorme importanza della presenza fisica, ma considerando anche che

1. La presenza della scuola del distanziamento, gli studenti fermi dietro i banchi, il docente fermo dietro la cattedra, niente movimento, niente attività di gruppo, ricreazione al banco, tutti con la mascherina, non è interazione e socialità ma una situazione (‘setting didattico’) da incubo, che porta spesso a una didattica sbagliata, solo frontale e trasmissiva.

2. Con l’arrivo del freddo, con l’aumento dei positivi e degli studenti in quarantena, con la necessità (sacrosanta) di fermarsi prudenzialmente anche per un po’ di tosse, con il divieto (cervellotico) ai docenti in quarantena di fare didattica on-line (ovviamente se non hanno sintomi e sono in condizione di farla), quella della presenza sta diventando la scuola dell’assenza: in molte classi le assenze di questi giorni superano il 20-30% e tendono ovunque ad aumentare; altre classi devono saltare una quota significativa di lezioni perché sono assenti i docenti. In questa situazione, la scuola della presenza a tutti i costi rischia di essere molto meno inclusiva di una modulazione realistica di presenza e distanza in funzione della situazione.

3. È vero che si è lavorato moltissimo per rendere le scuole il più sicure possibile, ed è stato utile e giusto farlo (certo se durante l’estate si fosse lavorato di più anche sul fronte delle infrastrutture di rete, delle competenze e dell’inclusione digitale non sarebbe stato male). Ma i dati sui contagi a scuola non sono comunque rassicuranti. Rendiamoci conto che una bambina o un bambino che si trasformano in veicolo inconsapevole di contagio dei genitori o dei nonni rischiano sensi di colpa che possono poi accompagnarli per la vita. Purtroppo è già successo, purtroppo succede ogni giorno, purtroppo è inevitabile che succeda, ma se succede per colpa della scuola aperta a tutti i costi in presenza, anche in situazioni in cui sarebbe razionale non già chiuderla (nessuno lo chiede) ma modulare diversamente presenza e attività on-line, la colpa diventa anche della scuola.
 

Alla luce degli ultimi dati sull’evoluzione della pandemia, dunque, il ricorso alla didattica on-line non è una sconfitta ma una strategia che può aiutare a limitare i danni, evitando l’interruzione completa del dialogo didattico. A differenza di chi chiede la scuola in presenza sempre, comunque e a tutti i costi, e di didattica on-line non vuole neanche sentir parlare, quel che credo sia razionale suggerire per i prossimi mesi non è affatto una scuola a distanza sempre, comunque e a tutti i costi: è invece la capacità di modulare presenza e distanza analizzando razionalmente la situazione, con soluzioni che possono benissimo essere diverse per gradi scolastici o situazioni epidemiologiche diverse. Rendendosi conto che la didattica on-line non è il nemico da sconfiggere (il nemico da sconfiggere è il virus) ma uno dei migliori alleati della scuola al tempo della pandemia. Uno strumento che servirà anche una volta superata la crisi attuale: non più in forma emergenziale e sostitutiva della presenza, ma in forma integrativa e metodologicamente consapevole.

* Gino Roncaglia è professore di Digital humanities presso l’Università Roma Tre e ha pubblicato recentemente, presso la casa editrice Laterza, la seconda edizione del libro L’età della frammentazione. Cultura del libro e scuola digitale, che contiene una lunga sezione sulla scuola al tempo del COVID-19


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