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Ritorno in classe, il Covid ci dà l’occasione di rompere il tabù della scuola aperta al pomeriggio

Roberto Contessi, insegnante e scrittore: «L’ipotesi dei doppi turni per alleggerire i trasporti ha sollevato una levata di scudi. Ma chiudere alle 14 vuol dire abbandonare i ragazzi più deboli allo svacco sul muretto o in balia dei siti spazzatura»

22/12/2020
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Corriere della sera

L’ipotesi che il prossimo 7 gennaio riaprano le scuole ha fatto tremare i polsi alla ministra Paola De Micheli responsabile dei Trasporti, segnale inequivocabile che lì si annida un problema. La questione è nota: all’interno degli edifici scolastici le tre regole fondamentali per evitare la diffusione del Covid-19 vengono rispettate, mentre non vengono spesso rispettate nei mezzi pubblici che dovrebbero garantire parte dello spostamento per raggiungere gli edifici scolastici. La questione rimane a tutt’oggi aperta e il prefetto di Roma l’ha rilanciata chiedendosi se non fosse il caso di stabilire i doppi turni. Apriti cielo. La proposta, invece, non è del tutto peregrina. Se appare difficile cambiare nel giro di poche settimane la fragilità del trasporto pubblico urbano, perché non andare a scuola a rotazione?

Peraltro, la generazione di chi ha i capelli bianchi è andata a scuola mattina e pomeriggio alternati quando, appunto, il boom demografico non permetteva di avere aule disponibili per tutti. Perché dunque non organizzare i doppi turni per diluire il traffico dello spostamento e per alleggerire l’affollamento fuori degli edifici scolastici?

E ancora: se veramente l’istruzione è una spina che sanguina nel cuore delle famiglie italiane, perché non sfruttare anche le giornate a basso traffico, come il sabato mattina? La croce degli edifici scolastici chiusi insomma non deve essere gettata tutta sul sistema dei trasporti, ma anche sul fatto che l’altra ministra, Azzolina, non ha mai imposto una turnazione obbligatoria nella frequenza scolastica. Perché mai? I docenti, le famiglie e i presidi (se non tutti, almeno molti) hanno subito storto il naso di fronte alla possibilità che le loro vite potessero essere modificate nell’abitudine dell’orario scolastico solo dalle 8 alle 14. Qualche sindacato premuroso ha subito messo mano al contratto nazionale, qualche docente rumoroso ha subito gridato al prefetto poliziotto che vorrebbe imporre orari di lavoro disumani e alla stessa stregua dei minatori dell’Ottocento. Qualche genitore ha anche sventolato il diritto per sé e i propri figli al sabato libero o, addirittura, alla settimana bianca.

A me questo giochetto non piace. Dato che insegnare è il mio mestiere, so che dietro la difesa del rigido orario mattutino esista la difesa di una idea di scuola che alle 14 finisca e che lasci i ragazzi delle scuole medie e superiori soli con le loro abitudini e difficoltà: sport e ripetizioni a pagamento nei casi dei ragazzi più seguiti, svacco sul muretto della piazzetta nei casi peggiori. Se non addirittura navigazione per ore ed ore nei siti spazzatura. Così non va bene. Il centro della questione resta la gestione del tempo. Beh, in una situazione di emergenza, intanto il tempo-scuola potrebbe essere reso flessibile per combattere la diffusione del virus. Questo porterebbe anche un altro vantaggio: cogliere l’occasione di sperimentare un sistema di istruzione un po’ differente. Durante l’altra metà del tempo, quella che non si svolge tutti insieme, i ragazzi che devono recuperare potrebbero venire sostenuti magari con l’aiuto degli stessi compagni di scuola più esperti in base ad attività strutturate e lanciate dal docente stesso. I doppi turni potrebbero incentivare i professori a seguire i propri ragazzi attraverso piattaforme web o l’uso di email e whatsapp entro uno stile di rispetto e di serietà reciproca.

Abbattere la parete della divisione tra mattina e pomeriggio potrebbe aprire, insomma, una nuova edizione del tempo pieno: alcuni inarcheranno le sopracciglia, ma, se ci pensiamo bene, significherebbe iniziare a progettare un’alleanza tra didattica a distanza e didattica in presenza. Che resta il vero nodo da risolvere. Oppure bisogna credere che molti, famiglie per prime, abbiano l’aspettativa che alla fine del tunnel Covid tutto torni esattamente come prima, senza modificare, non sia mai, neanche lo specchietto retrovisore.
*docente di liceo e scrittore


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