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Rischio esonero per 400 mila tra prof e bidelli

Oltre il 40 per cento del personale ha più di 55 anni. Un docente su tre rifiuta i test

28/08/2020
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la Repubblica

Ilaria Venturi

In fila per farsi pungere il dito nell’ambulatorio allestito in tutta fretta all’autostazione delle corriere di Bologna, accanto all’agenzia di viaggi rumena che porta le badanti in Italia, Fiorella Menetti, docente "fragile" solo per età, insegna dal 1983, è netta: «Paura di rientrare? Per nulla. Ho una gran voglia di rivedere i miei bambini, sono in quarta elementare. Il problema è che siamo consapevoli che è possibile tornare a chiudere, e sarebbe un guaio». Nelle stesse ore Marcella Raiola, 49 anni, docente di latino e greco al liceo Flacco di Portici, attende nello studio del suo medico di famiglia a Torre del Greco con altri 40 colleghi. Dice: «La disponibilità a fare i test è a macchia di leopardo. Ma farli è eticamente importante. La comunità deve decidere per cosa vale la pena rischiare: la spesa, il divertimento? Io non ho dubbi: la scuola».

È corsa dei docenti ai test sierologici, tra mille difficoltà e rifiuti. Mentre incombe l’incognita di chi per motivi di salute e di età avanzata – 400mila docenti e bidelli, oltre il 40%, sono over 55 - potrebbe non rientrare in classe a settembre. Si teme una raffica di certificati medici o di certificazioni sulla fragilità: malattie pregresse, chemioterapie in corso, asma e allergie che con l’età, più di 55 anni appunto, diventano un mix in grado di mettere ulteriormente in crisi la ripartenza: dove si troveranno le sostituzioni al volo? Il fronte dell’avvio delle lezioni passa anche da qui.

Sui test sierologici i presidi, con Antonello Giannelli dell’Anp, premono: «Lo facciano tutti, è segno di civiltà. Ma qualche regione è disorganizzata ». E infatti gli intoppi non mancano: c’è chi non trova il modo prenotazioni sold out, kit consegnati in ritardo, medici che non li fanno. E chi invece si rifiuta. Uno su tre, per ora. Racconta Eliseo Tambone, professore al liceo artistico di Corato, in provincia di Bari: «Qui sono i medici di base che si rifiutano, temono di dover chiudere lo studio in caso di esiti positivi. Io ancora non l’ho fatto, ma vorrei. Alcuni colleghi non vogliono? Lo so e non li capisco. Credo ci sia un obbligo morale e poi ha senso se lo facciamo tutti». Veloce e gratuito, il mantra di chi attende il prelievo. Se solo si trovassero i medici: ad oggi solo uno su due, spinti dalla Fimmg, il sindacato più rappresentativo, per due milioni di kit. In realtà, tra chi vuole sapere se è venuto in contatto con il Coronavirus la Grande Paura è un’altra: più che il contagio è di partire con le lezioni e poi di chiudere di nuovo, «è successo in Germania». E comunque, osservano i docenti, non sarà «un rientro normale, dovremo inventarci un modo nuovo di stare in classe», tra affetto e distanza, ripetono le educatrici degli asili. Chiara Ferdori, 62 anni, docente di inglese che ha fatto la commissaria alla Maturità a distanza, in classe vuole tornare: «È l’avvio dell’anno, non si può mancare. Ci provo, spero di farcela». Cristina, collaboratrice nei nidi, 60 anni, oltre al sierologico si è scaricata l’app Immuni e ha già lavorato nei centri estivi, «faticosissimo». Per il rischio Covid? «Non tanto per quello, ma perché se non puoi abbracciare i bambini, se quando fanno la nanna devi stare sulla porta non è più il tuo lavoro». Tocca a loro far ripartire la scuola e gli asili, lo sanno, fanno il test, hanno paura, ma questa non prevale sul desiderio di rivedere gli alunni. Pur con obiezioni e dubbi. Mila Spicola, autrice de La scuola s’è rotta , scrive nella comunità social di "Professione Insegnante": «Il test ai docenti, certo. Ma anche agli studenti, sennò che senso ha?». Già, le discoteche piene di ragazzini, gli stessi che si ritroveranno in classe. Claudia Doti è maestra elementare, avrebbe ricominciato già da maggio, «una che vive di scuola come me non vedi l’ora di ricominciare. Il test? Non è obbligatorio, ma il mio preside lo vuole». Sabrina, altra maestra, osserva: «Ormai abbiamo imparato a convivere col virus, il timore è quotidiano, anche quando esci».

La spada di Damocle è quella dei docenti "fragili". Quanti lo si saprà all’ultimo, ma la preoccupazione monta dopo l’allarme lanciato in Veneto: centinaia di insegnanti e amministrativi che non vogliono rientrare. «Non è così, non con questi numeri, saranno due o tre a istituto, una situazione nella norma» rettifica Carmela Palumbo, direttrice dell’ufficio scolastico regionale. Interviene il ministero all’Istruzione: «Non risultano situazioni di criticità ». Rimane da sciogliere l’intricato ginepraio delle norme. La "sorveglianza sanitaria" per i lavoratori fragili prevista nel pubblico impiego dal decreto Rilancio, nel caso degli insegnanti è concessa dal medico competente che può decidere se far tornare in aula con dispositivi a più alta protezione, mettere in malattia o indicare la strada del lavoro da casa. «Per ora non riscontriamo una fuga dei docenti dalla scuola per paura di contagio – spiega Francesca Ruocco della Flc-Cgil - Il lavoratore con patologie specifiche ha il diritto a rivolgersi al medico competente. Manca però un pezzo: le indicazioni del ministero su cosa fare: questi insegnanti lavoreranno da casa?». Viale Trastevere sta concordando una nota con la Funzione pubblica e la Sanità, arriverà lunedì. Lena Gissi della Cisl scuola scuote la testa: «Il problema della fragilità ancora non risolto e la maggioranza dei docenti che non riesce a fare i test per rientrare in presenza rende la situazione assurda».


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