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Riforma: La Tecnica della Scuola lancia appello.

Riforma: La Tecnica della Scuola lancia appello. La rivista "La Tecnica della Scuola", quindicinale di informazione scolastica, sul numero 13 del 20 febbraio 2002, lancia un appello al ministr...

16/02/2002
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Riforma: La Tecnica della Scuola lancia appello.

La rivista "La Tecnica della Scuola", quindicinale di informazione scolastica, sul numero 13 del 20 febbraio 2002, lancia un appello al ministro Letizia Moratti perché voglia promuovere la consultazione di tutti i collegi dei docenti e i consigli di istituto per un esame meditato e approfondito del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 1° febbraio 2002 e ora all'esame del Parlamento.
L'iniziativa istituzionale garantirebbe alla consultazione capillarità, organicità, rappresentatività e riflessività.
La proposta di riforma incide sul rapporto scuola-società, ma anche sulle condizioni di vita, di lavoro e di studio di dirigenti scolastici, operatori e studenti. Far pervenire al Parlamento il punto di vista di chi deve applicare la riforma è un atto doveroso e utile.
Il Direttore Daniela Girgenti

La parola alle scuole: consultazione subito.

di Calogero Virzì

Facciamo appello al ministro Letizia Moratti perché disponga la convocazione di tutti i collegi dei docenti e dei consigli di istituto per esprimere un parere meditato sul progetto di riforma che incide non solo sul rapporto scuola-società, ma anche sulle condizioni di vita, di lavoro e di studio di operatori e studenti. Siamo convinti che sia un atto doveroso, coerente con le promesse di ricerca del consenso fatte in questi mesi e utile al Parlamento per deliberare sulla riforma, tenendo anche conto del punto di vista degli operatori della scuola.

Governo e Ministro dell'Istruzione hanno ripetutamente sostenuto in questi mesi di volersi muovere con il massimo di consenso possibile. Il testo approvato il 1° febbraio dal Consiglio dei Ministri rappresenta un primo passo in quanto testimonia il consenso raggiunto all'interno della maggioranza e con alcune forze sociali, rispetto alla precedente ipotesi che il Governo aveva bloccato. Fra i due testi vi sono sensibili differenze ed una lettura attenta consente di cogliere il tipo di pressione interna ed esterna al Governo che ha indotto le modifiche. In questa sede non è possibile una analisi dettagliata; ci limitiamo a segnalare due modifiche emblematiche, una legata alla esigenza di avere il consenso di esponenti dell'Esecutivo, l'altra ad avere il consenso di Confindustria.

L'articolo 2 lettera b) afferma che 'sono favorite la formazione spirituale e morale, lo sviluppo della coscienza storica e di appartenenza alla comunità locale, alla comunità nazionale ed alla civiltà europea'. Si tratta di affermazioni di principio che chiaramente vengono incontro a istanze della componente cattolica del Governo e della Lega.

L'articolo 4 comma b) recita: 'fornire indicazioni generali per il reperimento e l'assegnazione delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione dei percorsi di alternanza, ivi compresi gli incentivi per le imprese e l'assistenza tutoriale'. Il precedente testo prevedeva che fossero le aziende ad investire sulla formazione. Infatti all'articolo 5 si affermava: 'la convenzione tra l'istituto e le imprese comprenda un contributo da parte delle imprese medesime, finalizzato anche all'erogazione di borse di studio agli studenti'. Il Libro Verde sulla Innovazione della U.E. sostiene che nella società conoscitiva è necessario che le aziende e le famiglie considerino le risorse umane delle nuove generazioni un bene da capitalizzare e sulla cui formazione e riqualificazione investire una parte significativa degli utili e dei risparmi. Le resistenze culturali, prima ancora che economiche, rappresentano un ostacolo allo sviluppo. La prima stesura della proposta ministeriale accoglieva tale indicazione europea, ma la Confindustria ha ottenuto che venisse modificata, fornendo così un'immagine impropria, come di un capitalismo assistenzialista che batte continuamente cassa presso il Governo per avere sempre e ovunque sgravi e incentivi e a questi subordina i suoi pareri favorevoli o contrari agli atti governativi.

Fin qui per indicare alcune delle soluzioni che si sono rese necessarie per ottenere il consenso del Governo e di qualche forza sociale.

Serve ora coinvolgere i protagonisti della riforma: dirigenti scolastici, operatori, studenti.

Da un sondaggio in corso sul nostro sito emerge che alla domanda 'Personalmente sei interessato al dibattito sulla riforma', risponde sì il 98%, risponde no il 2%; mentre alla domanda 'I docenti sono stati coinvolti adeguatamente dal ministro Moratti' risponde sì l'8.6% e risponde no il 91.4%. Il campione può non essere particolarmente rappresentativo, ma testimonia indubbiamente uno stato d'animo e un senso comune diffuso nelle scuole. Non si può investire sulla riforma in un tale contesto culturale di estraneità degli operatori.

Da qui il nostro appello al ministro Moratti perché promuova con proprie direttive la più ampia consultazione possibile.

Le scuole, è vero, possono mobilitarsi spontaneamente e far pervenire al Ministero e alle commissioni parlamentari i propri documenti, senza aspettare l'input ministeriale, ma una consultazione promossa dal Ministro offrirebbe al Parlamento ben altre garanzie di capillarità, organicità, rappresentatività e riflessività.

La proposta, elaborata dal gruppo ristretto di lavoro presieduto dal prof. Bertagna, è stata completamente accantonata. Il testo elaborato dal ministro Moratti e presentato al Consiglio dei Ministri alcune settimane fa è stato a sua volta ampiamente rimaneggiato a seguito di un confronto serrato all'interno del Governo. Il testo definitivo approvato il 1° febbraio deve ora essere sottoposto al vaglio della Conferenza Stato-Regioni e del Parlamento. E' ancora possibile intervenire per incidere sulla definizione di alcuni princìpi, per migliorare alcune soluzioni legislative, per modificare alcune direttive, per meglio chiarire la delega sui principali nodi critici della proposta. Siamo fiduciosi che il Ministro vorrà accogliere la nostra proposta di consultazione istituzionale degli operatori della scuola e, nelle more, mettiamo a disposizione un nostro primo contributo critico alla riflessione e al confronto su qualcuno dei nodi più critici del testo ministeriale.

Il più delicato nodo critico riguarda l'ordinamento che prevede il sistema duale: liceo da una parte e sistema professionale dall'altra. Il Ministro sostiene che anche il settore professionale sarà scuola di eccellenza, che le previste passerelle fra un sistema e l'altro garantiscono che le scelte iniziali potranno essere corrette in itinere. L'accusa più grave che viene avanzata su questo punto riguarda la sua configurazione classista, derivante dalla precocità e dall'irreversibilità di fatto della scelta. Nessun alunno, si sostiene da più parti, è mai transitato dai professionali ai licei, mentre il flusso è stato consistente in direzione opposta. La diversa durata temporale dei due percorsi (5 anni i licei e 4 anni i professionali) conferma, inoltre, nell'immaginario collettivo l'idea di una gerarchia fra i due ordinamenti.

Sul sistema duale le posizioni, pertanto, sembrano inconciliabili. Che fare? Il Parlamento potrebbe intervenire introducendo la possibilità di far coesistere all'interno della stessa scuola entrambi i percorsi. Fare in modo che molte scuole superiori abbiano al proprio interno sezioni di liceo e sezioni di professionale. Una simile scelta ha dei precedenti nella coesistenza di licei classici e scientifici, di istituti commerciali con annesse sezioni di geometri, ma il modello che meglio può ispirare un tale emendamento al testo governativo è quello degli istituti comprensivi che hanno risolto in gran parte positivamente il nodo della discontinuità fra i diversi ordini e gradi di scuola. Operare all'interno della stessa scuola, con un unico collegio docenti, un unico capo di istituto, con la possibilità di condividere alternativamente anche i laboratori, di disporre di alcuni docenti che insegnano, magari per completamento cattedra, nei due indirizzi non solo eliminerebbe l'idea di separatezza fra licei e professionali, ma anche faciliterebbe l'attivazione delle previste passerelle. La soluzione proposta non risolve completamente il problema, ma certamente ne ridimensiona gli effetti e sicuramente ne attutisce l'impatto. Sistema integrato quindi all'interno di un ordinamento duale.

Il testo governativo si richiama alla legge n. 59/97 sull'autonomia, ma ciò non basta a garantirne lo sviluppo.

In un contesto in cui l'organico funzionale di istituto e alcune strutture di supporto all'autonomia come il CIS vengono sospesi e la loro attuazione rinviata a tempo indeterminato, all'autonomia vengono meno quelle risorse interne ed esterne che la dovevano alimentare. La scelta poi di assegnare alle regioni e agli altri enti locali la definizione del 20% del curricolo se è vero che accontenta il movimento leghista, è anche vero che rappresenta uno scippo per le scuole che vengono private dei contenuti qualificanti dell'autonomia. L'autonomia degli istituti vive se ha i mezzi per essere attuata e i contenuti su cui deve essere esercitata, altrimenti rimane un simulacro.

I curricoli comprendono tutto ciò che la singola scuola pratica e come intende farlo per metterlo in rapporto con le finalità che ha deciso di perseguire. Contenuti, tempi, sequenze, graduazione, strategie, modalità attuative, organizzazione: tutti questi elementi devono essere previsti nei curricoli nazionali ed essere integrati con le scelte delle scuole. Non possono essere sostituiti da una offerta di corsi da parte della scuola e/o di privati, tra i quali i giovani e le famiglie sarebbero 'libere' di scegliere, come se fossimo ad un supermercato della formazione.

Il comma 4 dell'articolo 6 prevede che 'agli oneri derivanti dall'applicazione dell'articolo 2, comma 1, lettera f) e dal comma 3 del presente articolo, valutati in 12.731 migliaia di euro per l'anno 2002 ' si provveda 'parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'istruzione'.

Appena 25 miliardi, prelevati fra l'altro dai risparmi della scuola, per sostenere quella parte di riforma che entra in vigore nel 2002. Per il resto gli investimenti annunciati sono privi di copertura finanziaria. Il Governo scommette da una parte su una crescita dell'economia nei prossimi anni tale da consentire alla riforme varate oggi (riforma della scuola, contratti del pubblico impiego e della scuola) di disporre domani della necessaria copertura finanziaria e dall'altra in una riduzione dal 95% all'80% dei costi del personale della scuola. Il risparmio di spesa con cui finanziare la riforma a partire dall'anno prossimo riguarda aspetti relativi all'organizzazione e alle strutture e aspetti che coinvolgono i livelli di occupazione complessiva nel settore. Si va dalla ridefinizione del dimensionamento delle scuole, alla mobilità degli insegnanti tecnico-pratici, di educazione tecnica, di educazione fisica, alla riduzione degli insegnanti di lingua straniera nelle elementari, sostituiti, previo corso di aggiornamento, dagli stessi insegnanti elementari, alla ridefinizione dei compiti del personale Ata con l'appalto esterno di una serie di attività, alla destinazione di una quota percentuale dell'organico di ogni scuola (il 15% dell'orario complessivo settimanale) a contratti d'opera, all'orario di cattedra annuale per i docenti della secondaria, all'incremento, attraverso accorpamento di più classi, degli alunni per classe, specie nelle classi intermedie e terminali, al dimezzamento degli insegnanti specializzati per il sostegno attraverso l'eliminazione della deroga per i casi gravi (l'attuale rapporto medio un docente ogni due alunni, diventerebbe 1 ogni 4), alla riduzione delle ore di compresenza con gli insegnanti tecnico-pratici.

E' difficile immaginare come possa migliorare la qualità dell'istruzione riducendo il personale che è il motore primo di questa trasformazione, aumentando i carichi di lavoro (sostituzione dei colleghi fino a 15 giorni), incrementando il numero delle classi nelle quali insegnare (implicito nella riduzione da 30-36 a 25 ore settimanali), facendo crescere il numero degli allievi per classe (ad esempio, per riassorbire una parte dell'onda anomala).

Non si può migliorare la qualità della scuola aumentano notevolmente il numero degli allievi con i quali ciascun docente deve operare. Questo scenario spiega l'inquietudine presente fra gli operatori della scuola. L'inquietudine diventa allarme se a tutto questo si aggiunge il capitolo relativo alle pensioni, che non è direttamente legato alle scelte del ministro Moratti, ma alla politica generale del Governo. La fiscalizzazione degli oneri sociali, finora riservata al mezzogiorno, è stata estesa all'intero territorio nazionale. L'Inps, che in questo momento ha un bilancio in pareggio, avrà minori incassi perché le aziende sono autorizzate a non versate contributi da un minimo dell'8% fino al 16%. Si tratta di risorse ingenti che verranno a mancare al bilancio dell'Inps. L'inevitabile disavanzo avrà effetti non solo sugli attuali pensionati, ma anche su chi ancora lavora.

Come si fa ad avere il consenso degli insegnanti se per loro si riservano lacrime e sangue, mentre la stessa legge prevede contributi alle aziende che accettano di ospitare gli studenti stagisti? Se si vuole veramente riformare il sistema formativo è bene che il Ministro promuova la consultazione degli insegnanti, che i docenti facciano sentire la propria voce, che il Parlamento introduca quelle modiche che a seguito della consultazione appaiono necessarie per acquisire il consenso degli operatori della scuola.


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