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«Rientriamo». «No, a casa» La confusione va in piazza

Stavolta, nella generazione senza scuola causa Covid, la ribellione c'è ed è in un mix di buone ragioni da stanchezza di confinamento casalingo e di solite pose da protesta studentesca un po' combat e un po' chissà e che in questi tempi ci si sarebbe potuti risparmiare

12/01/2021
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Il Messaggero

Confusi e infelici. Non più «Figlioli miei marxisti immaginari», come quelli del titolo dello strepitoso racconto della prof. Vittoria Ronchey (anno 1975) in cui la generazione sbandata s'aggrappava alla pseudo-retorica della rivoluzione. Stavolta, nella generazione senza scuola causa Covid, la ribellione c'è ed è in un mix di buone ragioni da stanchezza di confinamento casalingo e di solite pose da protesta studentesca un po' combat e un po' chissà e che in questi tempi ci si sarebbe potuti risparmiare. 
Manca per fortuna il delirio ideologico nel sit-in davanti al ministero dell'Istruzione lungo Viale Trastevere. Semmai c'è confusione e smarrimento, voglia di farsi sentire ma è una parola. Anzi, tante. «Entrare in classe? Mai!», «Entrarci subito? Certo!», «Come entrarci? Boh!», «Ma ce stanno a imbroglia'?», «'Mbrogliamoli noi!». 
E s'improvvisano picchetti, davanti alle scuole sbarrate, come forma sostitutiva delle occupazioni. Che quest'anno e in questa stagione, quella classica del «riappropriamoci della nostra soggettività» (passando le notte tra i banchi ed è «precioooo», cioè preciso ossia un bel divertimento), non si possono fare perché le aule sono occupate dal vuoto dell'inazione politico-ministeriale e dal silenzio spettrale delle lezioni. Che si traduce in gap tra i nostri ragazzi e quelli degli altri Paesi: qui si sta a casa e lì a scuola, e l'Italia perde sul piano della competitività e del futuro rispetto ai concorrenti europei. 
DUE MAMIANINIE comunque: «Ribellarsi è giusto, ribellarsi è bello», certificano ieri mattina due liceali del Mamiani, chiuso, ma loro si sono presentati lo stesso per guardarlo da fuori: «A me mi piace aperto», «A me mi piace chiuso, almeno per un altro po'». Gli viene chiesto della Azzolina. E qui le posizioni dei due mamianini convergono: «Dice che sta sempre a baccagliare, ma non conclude niente». 
Intanto dal Giulio Cesare arrivano venti di guerra. Marcella Arena, rappresentante d'istituto, avverte: «Abbiamo deciso di scioperare anche dalla didattica a distanza oggi e domani e mercoledì continuiamo. E abbiamo indetto dei sit-in di fronte scuola. Chiediamo: la riduzione delle ore a scuola per non sacrificare tempo allo studio durante il pomeriggio, dal momento che i programmi didattici non sono stati cambiati; la sospensione dell'alternanza scuola-lavoro perché in questo momento è impossibile da organizzare ma pesa sul nostro curriculum; e l'attuazione immediata di un piano che pensi a come sostenere l'esame di maturità a prescindere da come andrà la pandemia». Sì, la scuola non dev'essere serva né del sistema né della pandemia e «riprendiamoci il nostro protagonismo»: fanno eco alcuni ragazzini in manifestazione di fronte al Tasso. Ma la maggior parte dei loro compagni sta a casa appiccicato alla Dad. 
PIAZZA SÌ O NOI rappresentanti degli studenti del Giordano Bruno hanno manifestato ai piedi del Campidoglio ieri e dice una di loro, Arianna Tonti: «Ci stiamo organizzando per uno sciopero generale per il 18 gennaio in quanto riteniamo sbagliato tornare a scuola senza delle reali e oggettive garanzie». Dunque la scuola non c'è, la protesta sì e sarebbe bello che la coppia invertisse le parti: io scuola mi attivo per esserci, tu sciopero prova - se proprio devi - a servire a qualcosa o ritirati. 
Giustamente Serena, Liceo Russell, la butta sul concreto: «Vogliamo tornare a scuola ma siamo preoccupati. Sarebbe necessario che i professori e noi studenti fossimo vaccinati. E nel mentre prevedere anche dei tamponi mensili in collaborazione con le farmacie vicino alle scuole». Per i vaccini ci vorrà tempo, ma intanto qualcosa si può e si deve fare. Anche perché 4 studenti su 10 dichiarano nei sondaggi di avere avuto ripercussioni negative sulla capacità di studiare in questi mesi di Dad. E c'è il rischio di abbandono scolastico per almeno 34mila alunni. 
Una popolazione di ragazze e ragazzi che si sente stanca, incerta, irritabile, disorientata. E chi - una minoranza - ricorre a vecchi slogan, come fa Michele Sicca, leader della Rete degli studenti medi: «No ai doppi turni». Come se fossero un sopruso e non una possibilità in tempi così difficili. Chi a questo disagio reagisce con l'apatia. O con la perdita di fiducia in se stessi, negli adulti, nelle famiglie che non sanno come affrontare l'emergenza infinita, nello Stato vissuto sente come presenza-assenza lontana e che potrebbe avere l'occasione di riavvicinarsi ai giovani puntando sulla scuola e sulla sicurezza a scuola ma o non lo sa fare o, peggio, crede di doverlo fare. E ancora: come faranno essendo a corso di preparazione - il 35 per cento degli studenti secondo un sondaggio Ipsos si sente meno attrezzato rispetto allo scorso anno scolastico - i ragazzi di quinta liceo che hanno già avuto accesso per l'anno prossimo in importanti università internazionali d'eccellenza e si troveranno a convivere con coetanei più preparati di altri Paesi dove le scuole non hanno fatto kaputt?
Può comunque servire studiare l'Alighieri open air. «La nostra prof d'italiano - dice Filippo Gattini, del Manara - ci ha fatto lezione davanti a scuola su Dante e l'ignavia. Un modo di ricordarci che dobbiamo prendere posizione, per far valere le nostre istanze riguardo a una scuola sicura». E questo è certo, al netto però della protesta per la protesta. 
Mario Ajello
Camilla Mozzetti


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