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Ricercatori italiani in fuga. «Per farli tornare alziamo l’assegno»

La proposta della studiosa Chiara Tonelli, esaminatrice del Consiglio europeo della ricerca: «Raddoppiamo lo stipendio per la durata del progetto vincente». E il ministro Giannini risponde alla linguista che l’aveva accusata di vantarsi dei successi altrui: «Polemiche sterili»

16/02/2016
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Corriere della sera

Antonella De Gregorio

Non attrae talenti, e smarrisce i suoi: l’Italia non è un Paese per ricercatori. Diecimila quelli persi negli ultimi cinque anni, una fuga che assottiglia un plotone già ridotto all’osso. Fenomeno noto, tornato a far discutere in questi giorni, dopo la diffusione dei dati sui progetti finanziati nell’ultimo prestigioso bando del Consiglio europeo della ricerca (Erc), che ha assegnato quasi 600 milioni a 302 scienziati top di tutto il mondo. Trenta gli italiani, terzi a pari merito con i colleghi francesi per numero di scienziati sostenuti con i fondi europei.

Ricercatrice contro Giannini

Ma la maggior parte dei selezionati spenderà i fondi Erc nei laboratori di altri Paesi. Come Roberta D’Alessandro, ricercatrice italiana che lavora in Olanda, finita sotto i riflettori per aver detto alla ministra Stefania Giannini di non intestarsi e non vantarsi dei risultati dei ricercatori italiani, in merito alla scoperta delle onde gravitazionali e ai tanti finanziamenti ottenuti dalla ricerca italiana all’estero. Roberta e due colleghi italiani hanno ottenuto da diversi enti, in due mesi, sei milioni di euro di fondi «che useremo in Olanda», ha scritto in un post su Facebook «e che evidentemente all’Italia non interessano».

«Solo apprezzamento»

«I ministri non si vantano, i ministri esprimono soddisfazione e apprezzamento per il risultato di una comunità scientifica, di cui la ricercatrice Roberta D’Alessandro, come tutti gli altri, fa parte», ha replicato Giannini, esortando a non accendere polemiche. Riconoscendo che servono «più cooperazione, più fondi alla ricerca. Quella è la nostra responsabilità», ha detto. Mentre la senatrice Pd Francesca Puglisi ha ricordato «il cambio di passo» di questo governo, che ha avviato diverse iniziative per promuovere la ricerca in Italia, alcune già incluse in legge di Stabilità, come l’assunzione di mille ricercatori e altre che dovrebbero dare ossigeno alla ricerca di base, come i 92 milioni stanziati nel nuovo bando Prin (Progetti di ricerca di Rilevante interesse nazionale) per finanziare progetti di Università ed enti vigilati dal Miur.

Finanziamenti

«Briciole», commenta Chiara Tonelli, prorettrice alla ricerca dell’Università degli Studi di Milano e membro del panel di valutatori del Consiglio europeo della Ricerca per l’assegnazione degli Advanced grants. «Non si può finanziare la ricerca in Italia in questo modo». Il bando - che pure prevede più risorse rispetto al precedente - ha una dote «troppo limitata per coprire tutte le aree di ricerca», sostiene. Mentre in una lettera indirizzata all’Unione europea, il fisico della Sapienza, Giorgio Parisi, ricorda che ci sono Paesi come la Francia dove la French National Research Agency mette a disposizione fondi per un miliardo di euro.

Trenta selezionati

Resta il fatto che i trenta studiosi italiani selezionati rappresentano «un grande successo, che non mi sorprende», continua Tonelli. «In Italia siamo molto bravi. Se confrontiamo il numero di ricercatori italiani con il numero di pubblicazioni che producono, siamo al secondo posto nel mondo. Nel rapporto tra lavori pubblicati e citazioni, e fondi investiti, siamo secondi dietro alla Gran Bretagna». I prestigiosi e cospicui fondi europei «vengono assegnati in base all’unico criterio dell’eccellenza», spiega la studiosa. Eccellenza del curriculum: quantità e qualità delle pubblicazioni. Ed eccellenza del progetto di ricerca: «Deve essere “high risk-high gain”: all’avanguardia e rischioso, cioè non una mera prosecuzione di una ricerca già in corso, ma un’idea fortemente innovativa». I finanziamenti, che hanno la caratteristica della portabilità, il più delle volte vengono utilizzati fuori dall’Italia. «Dove si trovano possibilità di inserirsi più facilmente e infrastrutture all’avanguardia: fondamentali, soprattutto nel settore delle scienze dure e delle scienze della vita». E poi ci sono gli stipendi: 1.500 euro al mese in Italia, fino al doppio, in altri Paesi europei.

Premio al merito

«Quello che soffriamo, è l’impossibilità di premiare questi ragazzi eccellenti: per legge non è possibile aumentare il loro assegno di ricerca. La proposta è che si arrivi a fare come negli altri Paesi, dove chi si aggiudica un premio prestigioso o un finanziamento come i grant Erc può avere un incremento salariale, almeno per tutta la durata del progetto. È assurdo che un giovane che gestisce progetti da un milione e mezzo, arrivi a prendere a malapena 1.500 euro al mese. È anche una questione di orgoglio nazionale e non si può negare un premio al merito, quando si consegue una vittoria estremamente difficile».


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