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Ricerca, nuove opportunità separando Università e scuola

Elena Cattaneo

10/01/2020
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Il Messaggero

Il 2020 della ricerca, in Italia, si apre con la separazione del comparto dell'Università e della Ricerca da quello della scuola, con l'istituzione di un Ministero dedicato. Una soluzione sperimentata anche, da ultimo, dal 2006 al 2008; un'opportuna novità che se accompagnata da adeguati investimenti, in un percorso pluriennale, condiviso e di legislatura, potrà non solo portare la ricerca italiana oltre la linea di galleggiamento, ma anche promuovere il rilancio della competitività del Paese. 
L' insostenibile complessità del Miur era evidente: chiunque ne abbia assunto la guida ha visto le sue energie largamente assorbite dai problemi e dalle urgenze del governo del prezioso comparto della scuola. Questo assetto istituzionale, se non bilanciato da un viceministro con deleghe vere e piene per Università e Ricerca, non poteva che lasciare queste funzioni - seppure con eccezioni, anche recenti - ad una gestione politicamente residuale, di breve raggio, a tratti contraddittoria, priva di una vera regia, con investimenti incerti per tempistiche e procedure oltre che drammaticamente insufficienti.
In questi anni, tra difficoltà di ogni tipo, le Università hanno continuato a formare giovani capaci e a promuovere selezioni pubbliche per dare spazio a brillanti studiosi da ogni parte del Paese. Ne conosco tanti, in tutte le discipline, e non mi capacito di come l'intero settore del sapere sia stato ignorato quando non massacrato. Nelle dimissioni dell'ex ministro Lorenzo Fioramonti ho letto anche il tentativo, estremo, di far emergere questa situazione in tutta la sua drammaticità. 
Oggi, dunque, si volta pagina. Lo spacchettamento delle deleghe del Miur, promosso dal presidente del Consiglio Conte, è un'iniziativa inaspettata e coraggiosa. Due ministri distinti avranno tutta la possibilità di profondere energia, attenzione e intelligenza ciascuno nelle materie di competenza. 
Tra i dossier che attendono, dopo i necessari e delicati passaggi legislativi, il professor Gaetano Manfredi - ministro designato all'Università e Ricerca - ve ne sono due direttamente legati alla legge di bilancio appena approvata: l'Agenzia per la Ricerca il cui statuto - da adeguare alle omologhe agenzie europee quanto a funzioni, competenze e indipendenza - dovrà essere adottato entro i prossimi 90 giorni e la convenzione che i ministeri dell'Università e Ricerca, dell'Economia e della Salute dovranno sottoscrivere con la Fondazione Human Technopole affinché, come disposto dalla legge, le sue facilities e le ingenti risorse pubbliche ad esse assegnate siano aperte in via prevalente, preferenziale e competitiva alle ricerche di tutti i ricercatori del Paese che lì vogliano realizzare le parti tecnologiche dei loro progetti.
Il neo ministro della Ricerca, forte della competenza maturata come presidente della Conferenza dei Rettori delle università italiane, nonché della volontà di potenziare gli investimenti espressa di recente dal ministro dell'Economia, sarà inevitabilmente chiamato anche a fronteggiare la necessità di rintracciare e rendere continuative le risorse per il comparto, da garantire per via competitiva a tutti gli enti e discipline; a emanare nuovi bandi Prin, di cui si è persa traccia all'indomani dello straordinario risultato dell'ex ministra Valeria Fedeli che nel 2017 riuscì a garantire la cifra record di 400 milioni di euro, così da alimentare le migliori idee in nuce del Paese, anche e soprattutto dei giovani e dei piccoli gruppi, per poi vederli vincere in Europa, dove l'Italia recupera troppo poco (prima di diventare grandi genetisti o illustri storici si è piccoli e sconosciuti, con idee che necessitano di opportunità su base competitiva); a impostare le attività necessarie a finanziare un piano straordinario pluriennale per i ricercatori di tipo Rtd-B e a programmare gli interventi per risollevare il Fondo di finanziamento ordinario per gli Atenei. Il nuovo Ministero si dovrà confrontare, inoltre, con il lungo elenco delle urgenze stratificate nel tempo: dall'effettività del diritto allo studio, al contrasto del basso numero dei laureati, al ripristino almeno di una parte delle borse di dottorato dimezzate negli ultimi dieci anni. Questioni da affrontare senza rinvii, perché ad ogni ritardo corrisponde un'ipoteca iscritta al pari del nostro enorme debito pubblico sul futuro culturale, scientifico, tecnologico e di sviluppo del Paese.
Il Presidente della Repubblica, nel discorso di fine anno, ha ricordato come le università, i centri di ricerca e le istituzioni della cultura siano preziose tessere del mosaico che compone la nostra società. Le ha descritte come una costellazione di luoghi del pensiero, dell'innovazione, della scienza, un patrimonio inestimabile di energie per costruire il futuro che, per vivere, deve essere conosciuto e stabilmente parte del dibattito pubblico. Per realizzare questi propositi, anche i tanti colleghi docenti e i giovani ricercatori sono chiamati ad esercitare sempre più, dentro e fuori dai laboratori, le loro competenze, la terzietà e trasparenza del metodo scientifico, il loro senso di responsabilità pubblica e civica. Solo così si potrà alimentare e accrescere quella fiducia sociale che può fare della lotta per le risorse un interesse diffuso nella collettività a cui, come studiosi, apparteniamo e pubblicamente rispondiamo. 
* Docente della Statale 
di Milano e senatrice a vita 


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