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Ricerca, il bluff sta nei numeri

Nicola Casagli: sistema unico al mondo favorisce le distorsioni. Sì alla semplificazione

24/09/2019
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ItaliaOggi

Alessandra Ricciardi

Non è un problema di correttezza: si è messo in piedi un sistema unico e anomalo in cui il numero delle citazioni può decidere la vita o la morte di un ricercatore». Nicola Casagli, ordinario di geologia presso l'università di Firenze, esperto di sistemi di valutazione, collaboratore di Roars (dove la sua presentazione cita:« Lotta strenuamente da anni, senza grossi risultati, contro l'assurda burocrazia accademica»), non ci sta a che si infanghi la categoria con la storia delle autocitazioni.

Domanda. I risultati della ricerca italiana, secondo lo studio pubblicato su Plos One, sono dopati: con un numero esponenziale di citazioni sulle riviste scientifiche falsiamo i risultati e siamo primi, in modo del tutto immeritato, tra i paesi del G8. Come stanno le cose?

Risposta. Non è un problema di correttezza dei ricercatori, sgombriamo il campo subito. Dopo la riforma Gelmini è stato messo insieme un sistema unico e anomalo della valutazione che non ha pari nel mondo civile.

D. Perché anomalo?

R. Innanzitutto non è il sistema nazionale di valutazione, la Vqr, ad essere stato messo in crisi dalle autocitazioni, con la Vqr parliamo di una valutazione delle pubblicazioni che serve a valutare gli atenei e a regolare una piccola percentuale del finanziamento ordinario. Quello che ha alimentato la stortura è la valutazione ai fini dell'abilitazione nazionale basata su numeri, su pubblicazioni, citazioni, sulle classificazione riviste, e questo ha determinato la vita o la morte di un universitario. Si è generata una corsa a pubblicare e a farsi citare. Così si pubblica in modo esagerato rispetto al potenziale della ricerca italiana.

D. Qual è il potenziale italiano?

R. Siamo agli ultimi posti come numero di ricercatori e come finanziamenti. Non possiamo essere i primi come risultati della ricerca. Ci siamo infilati in un vicolo cieco, provando a misurare l'imponderabile attraverso il numero di citazioni e pubblicazioni, non si valuta così la qualità della ricerca. Questo lo sanno tutti.

D. E allora gli altri paesi come valutano?

R. La maggior parte non valuta! Parlo degli Stati uniti, per esempio, che fanno la migliore ricerca. Il sistema in Europa più simile al nostro è quello del Regno unito, ma mentre noi siamo burocratici e numerologici, quello inglese è basato sulla revisione tra pari. Noi puntiamo sulla quantità, loro sulla qualità. Noi, per esempio, siamo gli unici al mondo ad aver disposto una classificazione delle riviste su cui si pubblica per decidere quanto vale una ricerca. Un metodo che dà luogo a distorsioni e condizionamenti. Insomma se ci sono risultati distorti è perché è distorto il sistema, non perché sono disonesti i ricercatori.

D. Quadro sconfortante. Da dove ripartire?

R. Un lavoro importante e apprezzato dal mondo accademico è stato impostato dal Miur con il capo dipartimento università e ricerca Giuseppe Valditara. A legislazione ferma, i decreti ministeriali predisposti puntano a semplificare il sistema, a rendere meno burocratica e più efficiente la valutazione, abolendo per esempio la distinzione tra le riviste. Sarebbe un buon passo avanti. Così come va nella direzione di una sana semplificazione e di un decisivo sostegno agli atenei e alle imprese anche la riforma dei dottorati di ricerca: l'Italia ha un terzo di dottorati della Germania e metà della Francia. E un docente che ha in media 700 studenti non fa più ricerca, fa solo didattica ed esami. Chi conosce il mondo universitario sa che abbiamo bisogno di liberare energie, non di ingabbiarle.


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