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Ricerca e PNR servono idee non nuovi centri

Di Elena Cattaneo

09/04/2021
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Il Messaggero

Nel programmare investimenti in ricerca tanto la scienza del fare scienza quanto l'esperienza di errori passati e il semplice buon senso impongono di non confondere i mezzi con i fini, ossia di non partire dall'idea di voler costruire una nuova infrastruttura senza prima assicurarsi che sia indispensabile a realizzare specifici obiettivi scientifici ed economici. Innovare non significa per forza costruire da zero: l'innovazione più coraggiosa risiede spesso in un cambio di paradigma nella gestione delle risorse, nel riformare ciò che è necessario o nella valorizzazione di ricchezze ed eccellenze sconosciute o sottovalutate.
La scorsa settimana le Camere hanno approvato le rispettive relazioni sulla proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che impegnano il Governo a tenere conto delle osservazioni formulate dal Parlamento nella stesura definitiva del Piano da presentare a fine mese a Bruxelles. 
La relazione del Senato ha introdotto, opportunamente, la previsione di una rigorosa valutazione preliminare dei bisogni nel caso di ipotesi di creazione di nuovi centri o infrastrutture di ricerca, che ne dimostri la necessità e la sostenibilità economica anche post-2026. Questa analisi sarà fondamentale anche per chiarire come eventuali nuovi enti andrebbero organizzati rispetto a quelli esistenti e ai tanti gruppi di ricerca, di base e applicata, che nel Paese conducono già studi sulle stesse materie.
Trovo naturale che, in una democrazia, siano le istituzioni e la politica a decidere le priorità di ricerca su cui investire negli anni a venire. Sbagliato sarebbe però procedere alla cieca e per vie imperscrutabili all'identificazione di nuovi contenitori con titoli generici, rimandando ad altra sede e tempi (oppure rinunciandovi del tutto) l'identificazione dei contenuti strategici, dei goal a cui mirare, dei fini di cui i neo-centri dovrebbero essere solo il mezzo. Mi riferisco alla prospettiva (a mio avviso nefasta), contenuta nella prima bozza di P2, di introdurre nel sistema italiano della ricerca 7 nuovi campioni nazionali e 20 campioni territoriali di Ricerca e Sviluppo. Davvero il nostro Governo potrebbe sostenere in Europa che la realizzazione degli obiettivi strategici di rilancio della ricerca italiana passi dall'avviare dal nulla 27 (o anche solo 7) cantieri per altrettanti nuovi centri di ricerca, che si andrebbero a sovrapporre ai 135 enti già esistenti? 
La ministra dell'Università e della ricerca, Cristina Messa, durante l'audizione del 17 marzo scorso in Parlamento, ha dato un importante segnale di discontinuità. Ha spiegato infatti l'impegno del Governo affinché si disponga, nella revisione del Pnrr in corso, la condivisione di risorse e infrastrutture di filiera nell'ottica di una sostenibilità di lungo termine anziché di creazione di nuovi centri. Rispetto alla localizzazione di questi centri, inoltre, la stessa ministra ha poi sottolineato che questa dovrà essere valutata «in un'ottica di sistema» senza alcuna individuazione a tavolino. Ancora più preziosa è stata la precisazione sull'idea di Centro che il ministro ha offerto ai parlamentari: non mattoni ma centri di coordinamento che -anche semanticamente- trovano la loro ragion d'essere nell'integrazione, nell'ottica di sistema, non nella duplicazione né nella sovrapposizione.
Sul fronte degli investimenti sul capitale umano, l'auspicio è che venga confermato e rafforzato l'ambizioso programma dedicato ai giovani ricercatori già previsto dal Pnrr del governo Conte2, ispirato ai bandi Starting Grant del Consiglio europeo della ricerca Erc; per quanto riguarda, invece, gli squilibri presenti nel Paese, in particolare quelli territoriali, ritengo sia essenziale introdurre oggi una iniziativa di sistema in grado di valorizzare le eccellenze diffuse nelle nostre università per permettere loro, soprattutto nelle aree periferiche e svantaggiate da nord a sud, di partecipare al rilancio dei propri territori. Non saremo mai in grado di potenziare la nostra economia, se le misure previste continueranno ad accrescere anziché ridurre i profondi divari già presenti sul territorio in termini di accesso alla cultura e costruzione della conoscenza collettiva.
Inoltre, le risorse che grazie al programma europeo avremo la garanzia di poter investire nei prossimi cinque anni potrebbero servire anche a impostare una riforma semplice ma rivoluzionaria: consentire a tutti i ricercatori, a qualsiasi ente appartengano (a prescindere quindi dai recinti amministrativi di provenienza) di partecipare ai bandi competitivi per il finanziamento della ricerca nel loro settore, tanto a valere sulle risorse derivanti dal Pnrr quanto sui fondi nazionali per la ricerca. I primi passi verso un sistema trasversale della ricerca, dunque, che passi attraverso bandi congiunti su linee di ricerca comuni tra i ministeri, come Università e Salute, come proposto dalla stessa ministra Messa. 
La competitività del Paese passa anche da un deciso rilancio globale degli investimenti in ricerca pubblica, umanistica e scientifica, e da procedure aperte, trasparenti, libere e competitive. In modo da liberare ricercatori giovani e meno giovani da qualsivoglia tappo professionale, accademico, territoriale o interno della propria istituzione, facendo sì che guardino al futuro con rinnovata fiducia, consci che grazie alla competizione delle loro idee potranno essere il nuovo motore della crescita sociale ed economica del Paese.

*Elena Cattaneo, docente della Statale di Milano e Senatrice a vita.


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