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Ricerca agricola, Cgil a Bellanova: “190 precari da stabilizzare, tradite le promesse”

La stabilizzazione di 500 precari era una certezza. Ma inchieste giudiziarie e la passata crisi di governo sono un'incognita sul futuro del Crea, primo ente italiano in agricoltura, foreste e ambiente. Tagli inattesi da 2,5 milioni. Golisano (Cgil): “Ci accodiamo a università straniere per briciole dei fondi europei”.

19/09/2019
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da Redattore Sociale

MILANO – A gennaio scorso la promessa e lo stanziamento di fondi per assumerli, dopo otto anni in media di precariato, con punte di venti. Ma dopo la crisi di governo estiva e un'inchiesta della magistratura sui vertici del loro ente, il futuro per i precari del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (Crea) è di nuovo un punto interrogativo. Sulla scrivania della neo ministra per l'Agricoltura, Teresa Bellanova, arriva il dossier sul principale ente italiano che si occupa di filiere agroalimentari, agroindustria e politiche agricole, sorvegliato dal Ministero. Un ingranaggio da 2 mila dipendenti, di cui quasi la metà tecnologi e ricercatori, 12 centri di sperimentazione, ricerca e filiera sparsi lungo la penisola (più l'amministrazione centrale) e dedicati a nutrizione, agricoltura, foreste e legno, bioeconomia, genomica, difesa e certificazioni. Per l'ex sindacalista, arriva proprio dai sindacati il primo affare corrente da risolvere: un problema ventennale di precariato nella pubblica amministrazione in un settore che alla luce delle future sfide nazionali e europee, in primis cambiamenti climatici, agenda alimentare e consumo del suolo, per Gianpiero Golisano della Cgil-Federazione Lavoratori della Conoscenza rischia di scontare “un pesante problema anagrafico: la stragrande maggioranza di coloro che hanno esperienza diretta della ricerca pubblica fra dieci anni li perderemo per maturata età pensionistica. Hanno 55-56 anni e non sono stati affiancati da nessuno di più giovane a cui lasciare un'eredità e un patrimonio di conoscenza scientifica e organizzativa”. Fra due settimane la Bellanova deve incontrare le parti sociali che nel frattempo hanno fatto sentire la loro voce martedì 16 e mercoledì 17 settembre in Parlamento. In Commissione Agricoltura il Cinque Stelle Filippo Gallinella ha relazionato sull'assestamento di bilancio del Ministero e sulla gestione commissariale del Crea negli ultimi sei mesi.

I nodi sono tanti: il problema dei precari del Crea che come tutti quelli della pubblica amministrazione sono oggetto di una messa in mora nei confronti di Roma di Bruxelles – sempre ieri un altro incontro fra sindacati e il ministro dell'Istruzione Lorenzo Fioramonti per affrontare il precariato dentro scuola e università con allo studio un decreto del governo – sembrava essere stato risolto dalla riforma Madia. Nell'ultima legge di bilancio del governo Gentiloni venivano stanziati (e confermati dal governo Conte) 10 milioni di euro il primo anno, 15 al secondo e 20 milioni a regime a partire dal terzo anno per stabilizzare 500 persone. Un quarto del totale dei dipendenti dell'ente fino a quel giorno contratti a termine, partite Iva, borse di studio, assegni di ricerca. Età media 40 anni con picchi di 58. Anni di precariato alle spalle, otto in media. Tutti avrebbero ottenuto il tempo indeterminato nel corso di una time line già definita e la priorità sarebbe stata data in base ad alcuni requisiti individuali come anzianità di servizio, un concorso interno all'ente già realizzato e di cui da quasi quattro mesi non si conosce la graduatoria. Ma tutti nel corso del triennio. Ai primi di gennaio è questa una certezza per i lavoratori e delegati sindacali.

Poi a marzo un'indagine della Guardia di Finanza coordinata dalla Procura di Roma travolge i vertici dell'ente, inclusi la Direttrice Generale e il Presidente, per delle irregolarità nella gestione del patrimonio immobiliare a cominciare dalla sede centrale di Roma e nell'affidamento dei servizi interni. A maggio l'ex ministro Centinaio nomina un commissario straordinario che va in scadenza il 15 ottobre. Si occupa degli affari correnti ed evidentemente la stabilizzazione dei precari non viene considerata tale. Cade un'altra tegola, finanziaria, su questo percorso. Il Ministero delle Finanze fa sapere che i soldi non ci sono più, non tutti. “Ci è stato detto di un taglio da 2,5 milioni di euro effettuato da parte del Ministero delle Finanze – dice il delegato della Flc-Cgil – ma è strano che un decreto interno abbia il potere di rimodulare l'assegnazione di risorse stanziate in finanziaria. Poi ci è stato invece raccontato che erano sbagliati i conteggi dei costi per la stabilizzazione e per questa ragione ci sarebbe un ammanco sempre di 2,5 milioni”. “Nulla di tutto ciò è però al momento verificabile a livello documentale” afferma il sindacalista.

Dei 500 precari il percorso di assunzione al 1 gennaio 2019 ha coinvolto solo il primo dei quattro sottogruppi, quello più sostanzioso, con diritto di priorità assoluta e assunzione immediata perché erano presenti dentro l'ente alla data del 22 giugno 2017. Sono 190 i lavoratori che attendono: 22 lavoratori del cosiddetto comma 1 della riforma Madia (almeno un triennio di anzianità e servizio negli otto anni precedenti) e che vantano un diritto soggettivo all'assunzione, con nome e cognome. Poi altre 33 persone del “comma 2” che hanno sostenuto il concorso interno ma mancano a oggi le graduatorie e pendono alcuni ricorsi amministrativi. Le risorse erano state stanziate per ulteriori 73 con un profilo da individuare nella seconda fase. “Infine c'è la questione storica degli operai agricoli e tecnici che sono tra i 60-70 in tutta Italia” dice Gianpiero Golisano “perché è inutile avere campi e cantine sperimentali, impianti zootecnici, colture, se poi nessuno va in loco anche solo a prelevare i campioni”.

Sullo sfondo di questa partita rimangono questioni di posizionamento dell'Italia, oltre a quello anagrafico dei ricercatori, su temi caldissimi in Europa e nel mondo come clima, patrimonio forestale, agricoltura, sostenibilità ambientale e alimentare e la ricerca connessa. A oggi il governo centrale e il ministero garantiscono gli stipendi e i costi di strutture, edifici e uffici. La spesa corrente. Ma alla voce investimenti per la ricerca i fondi sono praticamente zero e ci si affida a risorse comunitarie per scrivere ed elaborare progetti di ricerca. Bruxelles non premia tanto o esclusivamente la qualità intrinseca della ricerca, la sua innovatività, originalità, quanto la capacità di fare rete internazionale fra università e istituti in diversi Paesi comunitari. Tradotto: è più facile accedere ai fondi se un progetto lo presentano quattro università e quattro centri di ricerca di otto Paesi dell'Unione magari su un argomento noto che non presentando in proprio o con colleghi della stessa nazione su proposte d'avanguardia e di frontiera. Ne deriva che in Europa si sono create alcune cordate che fanno la parte degli assi pigliatutto, capeggiate dal nord Europa o per esempio da una piccola nazione come la Slovenia che tanto sta puntando sulla ricerca. “Gli italiani devono accodarsi a università straniere – spiega Golisano – ai loro progetti per non rimanere tagliati fuori e avere le briciole dei fondi europei”, inclusa inoltre la possibilità di vedere pubblicati i lavori a livello internazionale. Questo però “comporta che molti ricercatori si devono snaturare per diventare dei procacciatori di risorse economiche. Non è così in tutta Europa, perché soprattutto in questo periodo per esempio il modello francese considera quella spesa sull'agroindustria e le filiere un investimento strategico da finanziare anche con risorse proprie”.

E mentre rimangono inevase questioni che impattano sui prossimi decenni, in Italia il grosso della polemica riguarda invece nuove sedi e nuovi poli più o meno innovativi. Questo a prescindere dalle inchieste in corso della magistratura che hanno messo nel mirino la sede romana dell'ente (l'accusa più grave verso la ex Direttrice Generale è di aver gonfiato artificialmente il numero dei dipendenti per poter accedere a una sede sul mercato privato invece nelle proprietà del demanio). Si è parlato infatti del Crea come uno dei soggetti che avrebbe dovuto conquistare uno spazio dentro l'ex area Expo di Milano 2015. Il progetto sembra essere tramontato e sui terreni dell'Esposizione Universale, nonostante le numerose manifestazioni di interesse (Università di Milano, il Parco tecnologico etc), l'unico progetto che a oggi viaggia spedito è quello immobiliare residenziale su Cascina Merlata dove a luglio sono stati consegnati i primi 125 appartamenti: i promotori lo definiscono il “primo smart&green district” d'Italia, vasto quartiere per molti versi autonomo rispetto alla città e costruito con tecniche d'avanguardia da una cordata di società capeggiata dalla famiglia di immobiliaristi e filantropi milanesi dei Cabassi. Del Crea si è tornato a parlare invece per un interesse sul PTP Park di Lodi: è il Parco Tecnologico Padano presieduto dalla sindaca di Lodi, la leghista Sara Casanova. Un luogo con lo scopo di mettere in contatto il settore delle imprese agroalimentari con il mondo della ricerca, della formazione, della scuola, attraendo investimenti e start up e che tuttavia versa in una condizione finanziaria disastrosa, con oltre 17 milioni di euro di esposizione debitoria verso numerose banche. “Non entriamo nelle questione penali che riguardano la sede di Roma – chiude Golisano – ma ci dicano dove lavoreranno in futuro i dipendenti del Crea e si eviti di sperperare denaro su spericolate operazioni in contesti che di per sé hanno situazioni debitorie pesanti che non possono essere risanate dall'ente.” Come già accaduto in passato quanto nel Crea sono stati incorporate altre strutture di ricerca con problemi economici.


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