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Repubblica-La risposta alla sfida dell'eversione

La risposta alla sfida dell'eversione di EZIO MAURO L'INCUBO italiano del terrorismo ritorna davanti agli ...

20/03/2002
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la Repubblica

La risposta alla sfida dell'eversione

di EZIO MAURO


L'INCUBO italiano del terrorismo ritorna davanti agli occhi del Paese, come se non dovesse finire mai. C'è un altro morto, tre anni dopo, ammazzato per strada a Bologna da due sicari scappati nel buio, mentre tornava a casa in bicicletta. Nel maggio del '99, le Brigate Rosse avevano ucciso Massimo D'Antona. Torna la stessa immagine di un uomo inerme a terra, freddato dalla viltà assassina del terrorismo. La stessa borsa abbandonata accanto, piena di documenti con cifre e proposte sul tema del lavoro. Marco Biagi lavorava per il governo, come consulente del ministro del Welfare Maroni, lo stesso incarico di D'Antona. Le analogie sono impressionanti, così come la scelta scientifica dei bersagli da parte del terrorismo, sempre attento nella sua cupa potenza evocativa a trasformare la morte in simbolo.

Allora, il bersaglio era il riformismo italiano, con la sinistra al governo. Oggi, è la politica della destra, la battaglia sui licenziamenti, l'articolo 18 su cui si è aperto uno scontro sociale e politico senza precedenti. Tre anni fa, le forze politiche furono capaci di dare una risposta unitaria alla sfida eversiva, senza dividersi. Oggi è necessaria la stessa reazione, per difendere non solo la democrazia, ma anche la possibilità di un confronto aperto tra maggioranza e opposizione. Gli spazi si stanno pericolosamente restringendo, e il terrorismo vuole il peggio.

In passato, quando la sfida era al cuore stesso dello Stato, l'eversione è stata sconfitta non solo per la forza delle istituzioni, ma per la coesione del sistema. Bisogna saper tornare a quell'assunzione comune di responsabilità, pur nella distinzione dei ruoli, nella diversità dei progetti e dei programmi, nello scontro delle idee.
Tre fatti gravi sono davanti a tutti noi. Prima di tutto la morte inutile e tuttavia irrimediabile di un uomo, qualcosa di irreparabile per la sua famiglia, i suoi amici, per tutta la comunità civile.

Poi il riemergere del terrorismo, una bestia italiana che si nutre dei momenti di tensione e che si rigenera dalla sua stessa sconfitta, dopo che la geometrica potenza del suo progetto eversivo negli Anni Settanta era stata fronteggiata, battuta e dispersa: con la doppia ripulsa delle istituzioni da un lato (mai piegate a tentazioni autoritarie o a scorciatoie trattativiste) e del movimento operaio dall'altro, che seppe isolare i brigatisti nelle fabbriche, senza credere e cedere alla tentazione eversiva. Il terzo fatto è l'esplosione del terrorismo nel mezzo di un conflitto sociale pienamente dispiegato, alla vigilia della grande manifestazione della Cgil contro la modifica dell'articolo 18, con il rischio di strumentalizzazioni, forzature, usi demagogici dell'assassinio di Marco Biagi.

Quando il terrorismo si manifesta, l'attacco è sempre alla democrazia e alle sue istituzioni. Questo dovrebbe portare tutti, maggioranza e opposizione, ad uno sforzo comune, ognuno per la sua parte, nella coerenza di un compito condiviso: la difesa dello Stato. Le prime reazioni, ieri sera, sono state invece reazioni di parte. Il presidente di Confindustria D'Amato, e il presidente del Consiglio Berlusconi, all'unisono, hanno per prima cosa denunciato "il clima d'odio" che c'è nel Paese, quasi a criminalizzare il dissenso politico e sociale, e l'azione legittima di contrasto alla politica del governo e di Confindustra sul tema del lavoro da parte di Cofferati e della Cgil.

Vogliamo dire, con chiarezza, che strumentalizzare la morte di Marco Biagi sarebbe gravissimo. Un conto è sostenere che davanti alla gravità della sfida eversiva (che ancora una volta si è insinuata in quello spazio delicatissimo che sta tra i lavoratori e il sistema politico) tutti gli interlocutori devono riflettere, per trovare la strada di un confronto costruttivo, pragmatico, fuori dagli schemi ideologici e dalla volontà di piegare l'avversario: tutti, dal governo alla Confindustria, al sindacato, ai partiti dell'opposizione di sinistra, ritrovando quel sentiero della concertazione che ha garantito la pace sociale nel Paese per anni, realizzando risultati importanti.
Un altro conto è usare il ritorno del terrorismo per criminalizzare il dissenso, per chiudere la bocca all'opposizione, per tacitare le ragioni del sindacato e la sua legittima funzione di rappresentante degli interessi dei lavoratori. Non si può vedere nel dissenso, nei movimenti, nell'opposizione organizzata la manifestazione dell'odio, quasi a suggerire che questo è il terreno di incubazione del terrorismo. Questa operazione non fu nemmeno tentata, nei giorni del delitto D'Antona. E se oggi la logica folle dei terroristi cerca nel martirio di Marco Biagi la traccia emblematica dell'articolo 18 da criminalizzare, allora, tre anni fa, con D'Antona i brigatisti rossi dichiararono di colpire un bersaglio simmetrico e opposto, "il Patto Sociale come strumento corporativo e antiproletario". I loro simboli non devono diventare i nostri.

Berlusconi e il suo governo, inchinandosi al loro collaboratore ucciso, dovrebbero sentire in questo momento il dovere di cercare il consenso possibile, e non la divisione o lo sfondamento ideologico. Questo non significa rinunciare al loro legittimo progetto politico, che hanno il diritto-dovere di dispiegare e tentare di realizzare, avendo ottenuto il consenso degli elettori. Significa rinunciare alle inutili radicalità del linguaggio (a cominciare dal premier), alle tentazioni muscolari, alle minacce come quella sfuggita al Cavaliere a Barcellona sulle pensioni, ad un approccio ideologico alle riforme.

Il sindacato, dall'altra parte, deve semplicemente ricordare la sua stessa storia negli anni della sfida eversiva. Deve sapere di essere una forza che ha difeso le istituzioni e la democrazia, una forza riformista che ha saputo privilegiare nei suoi anni migliori l'interesse generale, armonizzandolo con la difesa degli interessi legittimi che deve difendere. Deve essere parte e anima di una sinistra di governo: pienamente alternativa a questa destra, nei programmi e nei progetti, e insieme parte attiva della difesa dello Stato e della costruzione di uno Stato più moderno e più efficiente.

Questi sono gli elementi di distinzione e di dialogo che vanno valorizzati, entrambi. Cofferati faccia il primo passo, trasformando la marcia di sabato in una grande manifestazione contro il terrorismo e per il lavoro. Berlusconi risponda cercando il dialogo, per fare le riforme nella concertazione. D'Amato, se può, abbassi i toni del suo ideologismo. Tutto il resto, davanti alla sfida del terrorismo è irresponsabile, soprattutto dopo la morte di un uomo, nella notte italiana del marzo 2002.

(20 marzo 2002)


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