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Regioni, autonomia hard soldi alla scuola legati al Pil

I fondi pubblici per la scuola che - semplificando - non dovrebbero più essere distribuiti dallo Stato in base al numero degli alunni iscritti ma considerando anche la quantità di imposte generate da un territorio

02/12/2018
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Il Messaggero

 Il governo giallo-verde è orientato a dare molti e maggiori poteri alle Regioni. L'autonomia nella versione hard o rock, ovvero robusta e puntuta come le rocce, dovrebbe partire entro la fine dell'anno con un disegno di legge che dovrebbe accogliere nella sostanza le richieste presentate dalla Regione Veneto. Fra queste proposte spicca quella sui fondi pubblici per la scuola che - semplificando - non dovrebbero più essere distribuiti dallo Stato in base al numero degli alunni iscritti ma considerando anche la quantità di imposte generate da un territorio.
Un'idea che sta suscitando molte discussioni perché sembrerebbe assicurare alle scuole delle Regioni più produttive più fondi pubblici per alunno rispetto a quelle delle Regioni meno fortunate.
Tuttavia è ancora presto per stabilire - nero su bianco - se nel disegno di legge del governo questa e altre proposte del Veneto saranno accolte integralmente. L'esperienza insegna che le parole d'ordine politiche e i fatti spesso non coincidono. Senza considerare il filtro rappresentato dalla Corte Costituzionale. Fatto sta, che la novità delle ultime ore è che c'è un accordo politico di massima fra la Lega di Matteo Salvini e il M5S di Luigi Di Maio (ieri in viaggio nel Veneto) per dare il via libera all'autonomia regionale forte. Tanto che ieri il ministro degli Affari Regionali, la leghista Erika Stefani ha detto che: «finalmente l'autonomia non è più un tabù». Il ministro tuttavia ha assicurato che l'intero progetto non porterà ad aumento dei costi per le finanze pubbliche.
IL DOSSIERVedremo. Il dossier sulle Autonomie parte da lontano. Com'è noto, il governatore del Veneto, Luca Zaia, a ottobre 2017 (assieme alla Lombardia) fece svolgere un referendum consultivo ampiamente vinto anche perché nessun grande partito era contrario. A febbraio 2018 fu raggiunto un accordo fra il governo Gentiloni e tre Regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna) che sostanzialmente avviava le trattative per una autonomia light, ovvero leggera. In sostanza, il protocollo firmato prevedeva la concessione di maggiori poteri su 5 materie fra le quali anche l' istruzione ma a spese delle Regioni stesse che, se avessero voluto concedere più fondi alle scuole, avrebbero potuto farlo con risorse reperite per proprio conto.
Ma ora - anche sull'onda della vittoria del No al referendum di Mateo Renzi del 2016 che riduceva i poteri degli enti locali - le Regioni che chiedono maggiori poteri sono diventate otto. A Veneto, Lombardia ed Emilia si sono aggiunte Liguria, Toscana, Piemonte e Marche e Umbria (queste ultime hanno presentato richieste in forma congiunta). Ovviamente ogni Regionepropone pacchetti diversi. L'Emilia ad esempio chiede maggiori poteri su 15 materie contro le 23 di Veneto e Lombardia.
Fra queste richieste alcune sono sorprendenti come quella del Veneto che vorrebbestabilire proprie regole sull' ordinamento sportivo oppure sulla comunicazione nonché sui Vigili del Fuoco.
«Passeremo presto dalle parole ai fatti», ha sottolineato ieri Matteo Salvini. Luigi Di Maio gli ha fatto eco con un secco: «I veneti avranno l'autonomia in tempi certi».
Molto più prudente l'opposizione. «Occorrerà separare le sparate propagandistiche dai risultati concreti - assicura Gianclaudio Bressa, viceministro degli Affari Regionali con Gentiloni - A parte l'evidente incostituzionalità di alcune proposte, segnalo che l'autonomia è una cosa seria che non va sprecata su materie bizzarre». Secondo Bressa, inoltre, l'esame parlamentare addolcirà le punte hard della legge sulle Autonomie in quanto inaccettabili per i parlamentari del Centro e del Sud indipendentemente dal partito di appartenenza.
Diodato Pirone


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