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Recovery plan: commenti e proposte per scuola, università e ricerca

La VII Commissione della Camera dei deputati (Cultura, istruzione, ricerca, editoria, sport) ha chiesto all’associazione ROARS un contributo sulla bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Questo è il documento che ROARS ha inviato

09/02/2021
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ROARS

La bozza del PNRR attribuisce alla missione “Istruzione e ricerca” un ammontare di risorse pari a € 28,5 miliardi. Il totale dei finanziamenti strettamente destinati all’istruzione primaria e secondaria è di € 11.62 miliardi. Quelli destinati all’università sono € 9,36. Le risorse non sono commisurate all’entità dei tagli attuati a partire dalla riforma Gelmini. Per tornare sulla media OCSE di spesa pubblica per istruzione servirebbe infatti un investimento complessivo e strutturale dell’ordine di € 18 miliardi annui. Per questa ragione le risorse del PNRR dovrebbero essere mirate esclusivamente a interventi urgenti e specifici di riduzione dei divari interni del paese.

ISTRUZIONE

Per l’istruzione, il PNRR enfatizza con una lettura generica e parziale – se non errata – i dati OECD sui risultati scolastici italiani. I divari interni, oggetto di attenzione in più punti dal PNRR, non appaiono adeguatamente individuati come destinatari di un piano di investimenti mirato. Le tre linee d’azione previste poggiano, infatti, su un pacchetto di riforme volte a ridisegnare la fisionomia del sistema di istruzione per quanto riguarda programmi scolastici, organizzazione e profili contrattuali dei lavoratori. Gli interventi ripropongono, di fatto, la stessa agenda politica dei governi precedenti, in particolare le soluzioni individuate dai documenti programmatici emanati durante il Governo Renzi. Si ripropongono interventi di riforma di tipo organizzativo-didattico-gestionale, che drenano quote di finanziamento e moltiplicano a dismisura improduttive e costose funzioni burocratiche di controllo in nome dell’autonomia manageriale, della retorica degli incentivi e dei premi, della differenziazione salariale, a partire da una base retributiva tra le più basse d’Europa. In particolare, appaiono assolutamente inadeguate allo scopo di “colmare il deficit di competenze che limita il potenziale di crescita del paese” le azioni di riforma di ordine contrattuale che definiscono un nuovo profilo professionale e un nuovo status giuridico dei docenti, configurandone una riorganizzazione in senso gerarchico. Anche la proposta di intervenire sullo “skill mismatch tra educazione e mondo del lavoro”, potenziando e correlando ancor più strettamente l’offerta formativa alla “vocazione produttiva del territorio di riferimento”, è una riedizione delle proposte renziane del 2014. La relazione scuola-lavoro che emerge dal documento ripropone la completa funzionalizzazione del sistema di istruzione alle necessità del mondo produttivo. Particolarmente inappropriato appare, infine, l’ulteriore intervento di riforma previsto sugli istituti tecnico-professionali, che subirebbero modifiche curricolari e organizzative, senza nemmeno aver concluso un ciclo quinquennale dall’ultimo intervento normativo.

Il PNRR dovrebbe essere l’occasione per disegnare un risanamento e una riqualificazione senza precedenti della nostra infrastruttura scolastica materiale, a partire dai territori più disagiati del sud, fino alle periferie delle città metropolitane del centro-nord, seguendo la mappa degli indicatori economico-sociali ormai consolidata e ben nota alla comunità scientifica. Gli investimenti dovrebbero essere focalizzati su:

1) investimento in personale docente e di supporto al lavoro scolastico nelle aree svantaggiate, che consenta una significativa riduzione del numero di studenti per classe in particolare nel ciclo di istruzione primaria. Tale misura, in prospettiva, consentirebbe una didattica per compresenze realmente ed efficacemente più inclusiva e personalizzata, oltre che laboratoriale. Evidenze dell’efficacia di questo intervento sono documentate per l’intervento di “sdoppiamento classi” nelle aree di “istruzione prioritaria” adottato dal governo francese.

2) investimenti nella manutenzione, ammodernamento o ricostruzione edilizia degli edifici scolastici esistenti e delle aree/pertinenze ad essi annesse, riqualificando dal punto di vista del risparmio energetico il patrimonio immobiliare scolastico vetusto, progettando o riqualificando aree verdi, biblioteche, palestre, mense e spazi ricreativi, architettonicamente accessibili e sostenibili.  Ciò consentirebbe di procedere parallelamente, sia lungo il percorso di riqualificazione energetica che dell’inclusione sociale e della cittadinanza attiva, temi centrali nell’agenda europea.

(La versione analitica del contributo è disponibile qui

UNIVERSITA’ e RICERCA

Per quanto riguarda università e ricerca, il PNRR  assume come punto di partenza molte delle ‘false’ questioni che hanno guidato le politiche universitarie negli anni recenti, come, ad esempio, la leggenda dello skill mismatch, dell’inadeguata offerta didattica e così via. Dimentica completamente di ricordare che dal 2008 l’Italia ha risposto alla crisi finanziaria con una riduzione netta della spesa pubblica per istruzione terziaria che l’ha collocata stabilmente nelle ultimissime posizioni tra i paesi OECD. Le politiche di austerità si sono concretizzate nella riduzione del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) delle università che hanno dovuto ricorrere ad un aumento della tassazione studentesca per fare fronte all’ordinario funzionamento. Attualmente in Italia le tasse di iscrizione sono le più alte, dopo l’Olanda, per i paesi dell’area Euro. L’Italia si trova altresì nelle posizioni di coda tra i paesi che offrono supporto finanziario agli studenti universitari. Se aggiungiamo lo stato disastroso dell’edilizia residenziale universitaria, non è difficile spiegare perché la quota di giovani che si iscrive all’università è tra le più basse dei paesi OECD.

Anche per università e ricerca il PNRR disegna riforme di contorno che segnano la sostanziale continuità con le politiche universitarie del passato. Gli aggiustamenti di scarsa rilevanza e di piccolo cabotaggio proposti, come la revisione delle classi di laurea, il potenziamento degli ITS, i “dottorati innovativi e green”, disperdono risorse in rivoli che non permettono di modificare sostanzialmente il quadro dell’istruzione terziaria nel nostro paese. Il PNRR dovrebbe essere l’occasione per definire alcuni interventi che modifichino in modo radicale la direzione con cui i governi di centro-destra e centro-sinistra negli ultimi dieci anni hanno governato il sistema universitario e della ricerca.

1) Le risorse del PNRR dovrebbero essere focalizzate sull’obiettivo centrale di ridurre le tasse universitarie ai livelli dei paesi europei come Germania e Francia. Il passaggio ad un sistema di educazione terziaria sostanzialmente gratuita ha come corollario la necessità di rivedere il sistema di finanziamento delle università, con un aumento del FFO che garantisca l’ordinario funzionamento degli atenei. La realizzazione di questo intervento dovrebbe avvenire di concerto a:

2) Revisione complessiva delle modalità di finanziamento delle università, centrandolo su necessità e risultati della didattica e sul ruolo di promozione sociale ed economica che le università svolgono sui territori.

3) Eliminazione della (falsa) premialità sui risultati della ricerca che sta introducendo una competizione dannosa tra sedi universitarie e ricercatori, inducendo comportamenti strategici ed opportunistici a scapito della qualità stessa della ricerca;

4) Riduzione del carico e del controllo burocratico sulle attività delle università da attuarsi in particolare attraverso l’abolizione dell’ANVUR. Questo permetterebbe di impiegare le spese dirette per il suo funzionamento in attività più utili per il Paese, come, per esempio, nella maggiore dotazione da assegnare alle università per la ricerca di base. Il sistema universitario potrebbe altresì tornare a usare per didattica e ricerca le ingenti risorse (personale docente e tecnico-amministrativo) adesso impiegate per rispondere alle richieste dalla burocrazia valutativa;

5) Rivedere il sistema dell’Abilitazione Scientifica Nazionale che, a seguito dell’introduzione di soglie quantitative sulla produzione stabilite da ANVUR, sta determinando distorsioni nel sistema della ricerca italiano, che rischiano di diventare irreversibili;

6) Revisione del finanziamento dei progetti di ricerca di base (bando PRIN) attraverso la differenziazione di diverse categorie di ammontare di finanziamento (progetti piccoli, medi, grandi).


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