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Quando deve andare in pensione un professore?

La riforma dice a 65 anni, ma i docenti non ci stanno Tra merito e accuse di baronia

29/07/2014
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la Repubblica

Simonetta Fiori

NOTTI
insonni per molti professori universitari. La riforma della Pubblica amministrazione manda in pensione un cospicuo numero di docenti oltre i 65 anni di età. È vero che devono avere maturato 42 anni sei mesi e un giorno di contributi (gli uomini) e 41 anni sei mesi e un giorno di contributi (le donne), una cifra che può apparire irraggiungibile. In realtà per molti di coloro che sono entrati nelle università negli anni Ottanta il riscatto della laurea era un passaggio naturale. Così si calcola che nel giro di un paio d’anni l’università rischi di perdere un paio di migliaia di professori. E certo non tra i peggiori. Con gravi conseguenze per i dipartimenti delle facoltà umanistiche e i reparti di medicina.
Gli accademici protestano, con ragioni anche condivisibili. Mentre le università europee allungano i tempi della pensione, in conseguenza dell’aumento delle aspettative di vita, in Italia si anticipa la rottamazione. Negli Stati Uniti era stato Reagan a eliminare il mandatory retirement nelle università — fissato intorno ai 70 anni — e oggi si può andare in pensione quando si vuole (ma con verifiche molto rigorose). Da noi la legge stabiliva che i professori potevano restare in cattedra fino ai 70 anni. La nuova norma viene giudicata da molti «un errore» sotto il profilo culturale ed economico. Un appello firmato da alcuni filosofi - tra i quali Roberto Esposito, Michele Ciliberto, Maurizio Ferraris,
Remo Bodei - denuncia la «dispersione di competenze e saperi di cui invece università e sanità hanno vitale bisogno». Viene messo in evidenza anche quello che può essere considerato un vulnus per la Costituzione: ossia la discrezionalità di ogni singola università nel decidere se un docente deve o non deve andare in pensione («un elemento insostenibile di condizionamento e ricattabilità dei pensionabili»). Alle proteste degli accademici si affianca quella di Paola Binetti, deputata dell’Udc: «Mandare in pensione a 65 anni tutto il personale medico universitario non è frutto di una buona logica».
Il governo argomenta la “rottamazione” dei più vecchi con la necessità di far posto ai più giovani.
«Nessun problema di lesa maestà», dice Marianna Madia, la ministra artefice della riforma. «Restano salve le eccellenze», che però saranno giudicate tali da ogni singolo ente. Il quale valuterà se non sia opportuno dare nuove possibilità ai più giovani. I professori dissenzienti obiettano che non è così che si garantisce il lavoro dei nuovi ricercatori (i docenti pensionati non vengono sostituiti).
Da un parte gli argomenti populistici dei governanti — giovani versus vecchi, liquidati in massa dalla Madia come “cattivi maestri” —, dall’altra il sospetto d’una difesa corporativa che s’allunga sul ceto accademico: il terreno appare molto scivoloso. Ecco qui di seguito due pareri discordanti.


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