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Prof in cattedra ma mai titolari

I docenti assunti dal piano Renzi cambieranno sede ogni tre anni su chiamata del preside. Colpo di spugna sulla mobilità anche per chi è già di ruolo

24/03/2015
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ItaliaOggi

Carlo Forte

I docenti che saranno immessi in ruolo dal 1° settembre prossimo non avranno mai una sede di titolarità. Ogni tre anni cambieranno la sede di lavoro, a seconda del luogo dove sarà ubicata la scuola il cui preside conferirà loro l'incarico, traendoli dal albi regionali. La nuova disciplina non si applicherà agli insegnanti già in ruolo. Ma a patto che rinuncino, per tutta la vita, al diritto di chiedere di cambiare sede o classe di concorso. In caso contrario, dovranno rassegnarsi anche loro a tenere pronta la valigia allo scadere di ogni triennio. È questa una delle novità più importanti contenuta nel testo del disegno di legge delega che dovrebbe realizzare la buona scuola voluta dal governo Renzi. Va detto subito che le nuove disposizioni entreranno in vigore solo dopo che il testo diventerà legge. E comunque non subito. Perché per avere effetti il governo dovrà emanare dei decreti legislativi ad hoc. Ma la procedura non sembra impensierire Renzi.

In più, nel disegno di legge delega è prevista la cancellazione del parere obbligatorio del Consiglio superiore della pubblica istruzione. Pure ordinariamente prevista dalla legislazione generale che regola l'iter di formazione dei decreti legislativi. Le elezioni previste per la fine di aprile, dunque, non saranno finalizzate a rendere operativo il parlamentino dell'istruzione e ai fini dell'emissione dei prescritti pareri. Ma solo ad evitare l'insorgere di gravi responsabilità in capo ai vertici di viale Trastevere, costretti ad indire le elezioni solo per effetto di una sentenza emessa tempo fa dai giudici amministrativi. Insomma, si tratta di una costituzione pro forma. Perché il Cspi, sulla buona scuola, non sarà minimamente consultato.

Quanto agli effetti delle nuove norme, è possibile dire che rappresentano un vero e proprio colpo di spugna sul diritto alla mobilità così come è stato faticosamente costruito in vent'anni di contrattazione collettiva. Un corpus normativo, invero assai complesso, che ha il pregio di incardinare i movimenti in procedure rigide, regolate da norme tassative. Che precludono qualsivoglia decisione discrezionale da parte dei dirigenti e dell'amministrazione scolastica. E che grazie alla legge 241/90 sono assolutamente impermeabili ad ogni arbitrio o discriminazione di sorta. In buona sostanza, dunque, si tratta di un sistema che, da una parte, garantisce l'assoluta trasparenza delle operazioni. E dall'altro lato pone al riparo l'amministrazione scolastica dal rischio di responsabilità, anche penali, che potrebbero insorgere in capo a dirigenti e funzionari in caso di errori o valutazioni discrezionali. In pratica, l'attuale sistema, proprio grazie alla tassatività e trasparenza delle regole che lo governano rende assolutamente impossibile ogni forma di corruzione. Prova ne è che, da quando è entrato in vigore, non si registra alcuna condanna penale in tale materia.

Il nuovo sistema, invece, ponendo quale unico vincolo la necessità di rendere pubbliche le motivazioni delle scelte dei dirigenti scolastici sembrerebbe offrire il fianco ad ogni sorta di azione legale. Sia in sede civile, sul merito di tali scelte, sia in sede penale, in caso di presunte discriminazioni. Quanto alla procedura, oggi rigidamente informata al principio del merito sulla base di regole tassative (titoli posseduti, continuità didattica accumulata, anzianità di servizio) secondo il disegno di legge, si limiterà a meri adempimenti di pubblicità.

Il dirigente scolastico, infatti, dovrà semplicemente pubblicare i criteri a cui riterrà di attenersi per la scelta dei docenti. E dopo averli designati, non dovrà fare altro che rendere pubblica la motivazione della propria scelta insieme al curriculum del docente interessato. I criteri, dunque, potranno essere diversi da scuola a scuola e non saranno soggetti a regole preordinate e uniformi su tutto il territorio nazionale come avviene adesso.

Il provvedimento non dice nulla sul come avverrà la chiamata. E soprattutto non indica alcuna soluzione in caso di controversie che dovessero insorgere tra più docenti interessati al medesimo incarico a parità di pre-requisiti o sul destino di chi non sarà chiamato. Insomma, ce n'è abbastanza per ingolfare i tribunali a scadenza triennale e per fare la fortuna dei ricorsifici.


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