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Preside-sceriffo o manager i dirigenti scolastici a un bivio della carriera

Dopo l’ultima legge del governo sono aumentate le responsabilità. Mentre molti si lamentano per la perdita dell’elemento della collegialità. bisogna ancora lavorare sulla formazione.

22/03/2016
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la Repubblica

da Repubblica Affari e Finanza

di Massimiliano Di Pace

A partire da settembre andrà a regime il nuovo ruolo dei dirigenti scolastici, ovvero dei presidi, previsto dalla riforma della Buona Scuola (legge 107/2015).

Un ruolo più organizzativo e gestionale, come riconosce il Presidente di Anp (Associazione nazionale presidi), Giorgio Rembado: «Le nuove funzioni attribuite dalla riforma sono la conseguenza logica dell’incremento delle dimensioni degli istituti scolastici, dovuta agli accorpamenti avvenuti in passato, che hanno fatto sì che dai 200-300 studenti ad istituto si sia passati a 1.000-1.500. Inoltre, per effetto delle integrazioni tra istituti, oggi i presidi si trovano a gestire contemporaneamente scuole di diversi ordini e specializzazioni: dalle scuole dell’infanzia alle scuole superiori».

Dunque, con la riforma il dirigente scolastico non sarà più un primus inter pares, con compiti di direzione del collegio dei docenti, e di applicazione delle circolari ministeriali, ma una sorta di “preside-sceriffo”, come è stato chiamato.

O meglio una sorta di manager, come riconosce Giuseppe Turi, segretario della Uil Scuola, che precisa: «Le scuole dal 2000 sono un soggetto giuridico autonomo, per cui il dirigente scolastico da tempo è già chiamato ad effettuare scelte di natura gestionale e organizzativa, ma ora gli sono attribuite anche funzioni di attuazione del piano di offerta formativa, che sarebbe stato bene lasciare a organi collegiali».

La perdita della collegialità è in effetti un aspetto non condiviso della riforma, sostiene Maddalena Gissi, Segretaria di Cisl Scuola: «Finora il preside aveva una funzione di leadership educativa, con un rapporto diretto sia con i docenti, sia con gli studenti, e le decisioni venivano prese collegialmente, ma i nuovi compiti gestionali ed organizzativi attribuiti ora solo al dirigente scolastico, insieme alla mancata riforma degli organi collegiali della scuola (il collegio dei docenti e il consiglio di istituto), rischiano di mettere in crisi un servizio pubblico collaudato».

Quindi la riforma non modifica l’impostazione della scuola pubblica, bensì la sua governance, accentrandola nella figura del preside, come chiarisce Domenico Pantaleo, segretario della Cgil Flc (lavoratori della conoscenza): «In realtà anche in passato i dirigenti scolastici avevano un ruolo organizzativo, ma con questa riforma si è ecceduto con l’attribuzione di poteri, come quello della chiamata diretta dei docenti appartenenti al bacino territoriale di riferimento (subprovinciale), che rischia di trasformare la scuola in un luogo di clientelismo, se non di enclave di una precisa ideologia, ovvero quella del preside».

Su questo punto è d’accordo Turi della Uil Scuola, che aggiunge: «Non solo la chiamata diretta dei docenti, ma anche l’attribuzione ai presidi del compito di assegnare i premi agli insegnanti più meritevoli (200 milioni l’anno, circa 24mila euro a scuola), può creare un meccanismo di soggezione psicologica del docente nei confronti del dirigente scolastico, con il possibile risultato di limitare la libertà di insegnamento, prevista dall’articolo 33 della Costituzione». Per contro Rembado dell’Anp ritiene che in realtà questi poteri non siano pieni: «La possibilità di scegliere i docenti solo nell’ambito del bacino sub provinciale rischia di rendere inefficace tale nuovo potere, senza contare che manca una vera libertà di impiego del budget a disposizione della scuola».

A fronte di qualche potere in più, è prevista una valutazione, come spiega Pantaleo della Cgil: «Alla fine del triennio contrattuale, e quindi nel 2018, ci sarà un team di valutazione nominato dall’Ufficio regionale scolastico, che predisporrà una relazione sui risultati di gestione amministrativa e di rispetto del piano dell’offerta formativa». Al riguardo il ministero ricorda che sulla base di questa valutazione l’Ufficio regionale scolastico deciderà la componente premiale della retribuzione dei presidi.

Non è solo il contenuto della riforma a suscitare qualche perplessità, ma anche la stessa possibilità di attuarla. «Per le 8.400 scuole, vi sono oggi 7.500 dirigenti – sottolinea Rembado dell’Anp – dei quali circa 500 ogni anno vanno in pensione.

Ora, se il ministero non organizza i bandi per la selezione dei dirigenti scolastici, diventerà difficile eseguire i più vasti compiti, visto che alcuni presidi continueranno a gestire in reggenza anche un altro istituto». Su questo punto però il Miur fa sapere che entro fine aprile uscirà il nuovo regolamento per il reclutamento, che permetterà di predisporre il bando di concorso per circa 1.400 nuovi dirigenti scolastici entro giugno. Il Miur stima che nell’estate 2017 vi sarà la nomina dei nuovi presidi.

Un’altra questione da definire è l’aspetto reddituale dei presidi, come sottolinea Gissi di Cisl Scuola: “Per motivi contrattuali il dirigente scolastico prende in media una retribuzione lorda di 60mila euro l’anno, ben al di sotto degli 80-90mila degli altri dirigenti pubblici. Una situazione assurda se si considera che un dirigente scolastico coordina un personale spesso ben superiore a quello degli altri dirigenti, essendo maggiore delle 100 unità».

Nonostante difficoltà e perplessità, la legge 107/2015 avvicina la scuola italiana ai modelli internazionali: «Non solo nei paesi anglosassoni, ma anche in nazioni più vicine a noi come Francia, Spagna e Germania - dichiara Anna Simioni, di Boston consulting group – il preside ha una responsabilità di natura manageriale. Ma questa trasformazione richiede l’acquisizione di competenze, per cui sarà importante prevedere per i presidi un percorso formativo che permetta loro di sviluppare competenze necessarie per i nuovi compiti».


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