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Poveri prof e poveri studenti. L'OCSE boccia la scuola italiana

L’organizzazione internazionale punta l’indice sugli stipendi: i più bassi d’Europa. «Simpatica» risposta del ministro dell’Istruzione. «È perché i docenti sono troppi»

14/09/2011
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l'Unità

Mariagrazia Gerina

Ci sono altri numeri, oltre a quelli della borsa, che dovrebbero preoccupare l’Italia e spingere il governo a invertire la rotta o il paese a cambiare governo. A scandirli è l’ultimo rapporto sull’educazione (Education at glance 2011) appena pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo Economico. Partiamo dal numero dei diplomati, che è uno dei primi indicatori dello sviluppo di un paese. In Italia, anche nella popolazione giovane, tra i 25 e i 34 anni, è ancora molto basso: 70,3% contro una media Ocse dell’81,5%. E se è vero che, nel passato, c’è stato un balzo in avanti, per cui nella generazione dei 25-34enni i diplomati sono il 30% che nella generazione tra i 55- 64enni, tra i giovanissimi negli ultimi anni si registra addirittura un arretramento. Il numero dei diplomati tra coloro che cominciano la scuola superiore passa dall’84% del 2008 all’80,8% del 2009 contro una media Ocse dell’82,2%. Ancora peggio va per il numero dei laureati. Appena il 32,6%, nella popolazione giovane, contro una media Ocse del 38,6%. Investire di più per migliorare il livello di istruzione dovrebbe essere una scelta obbligata. Tanto più «davanti alla crisi». Dal momento che - come ricorda il rapporto - chi è meno istruito ha più probabilità di restare senza lavoro. E ora più che mai «occorre scongiurare con ogni mezzo il rischio di perdere una generazione ». Sembra di ascoltare il grido di allarme appena lanciato dagli studenti italiani. Più lungimiranti, evidentemente, di chi li governa, Perché i dati sulla spesa per l’istruzione sono la vera cartina di tornasole per l’Italia, che spende per scuola e università appena il 4,8% del Pil contro una media Ocse del 6,1%. Gli Stati Uniti, la Norvegia, la Corea sono tutti sopra al 7%. L’Italia su 34 paesi si colloca ventinovesima. Peggio di noi, la Repubblica Ceca, quella Slovacca, la Cina e l’Indonesia. Per l’università in particolare l’Italia spende appena l’1% del Pil. Bassissimi sono gli investimenti privati, che pesano decisamente meno delle tasse universitarie. Mentre la spesa media pro capite per uno studente universitario in Italia è di 9.553 dollari contro una media Ocse di 13.717. Non solo.Mai dati pubblicati si riferiscono al 2009.Ele scelte del governo da allora hanno solo peggiorare le cose. Fino all’ultima manovra che - come ricorda Francesca Puglisi, responsabile scuola del Pd - riduce ulteriormente investimenti e orizzonti fino a disegnare per il 2025 una spesa in istruzione non superiore al 3,4% del Pil. Veniamo infine agli insegnanti. Secondo i dati Ocse hanno più di una ragione per protestare. Mentre i loro colleghi dal 2000 al 2009 hanno visto crescere il loro stipendio del 7%2009 gli insegnanti italiani se lo sono visto diminure dell’1%. Senza contare le novità dell’ultimo accordo firmato al ministero per i neo-assunti e gli effetti delle ultime manovre finanziarie. Prendiamo gli insegnanti di scuola superiore. Partono da 31mila euro, lordi, contro i 33mila dei loro colleghi Ocse. E ci mettono 35 anni a raggiungere il massimo livello retributivo, che non arriva a 49mila euro lordi (48.870) contro i 53.651 euro, che è la media degli altri Paesi. Il ministro ha pronta la risposta: è che in Italia gli insegnanti sono tanti, troppi. Ergo: devono accontentarsi di stipendi più bassi. Non solo,ma proprio il numero di insegnanti, che sono uno ogni 10,7 alunni nella scuola primarie (contro una media Ocse di 16) e 1 ogni 11 alunni nelle secondarie (mentre la media Ocse è di 13,5), conferma - secondo il ministro - che le classi pollaio non esistono. Anche se di numero di studenti per classe nel rapporto non si parla. E anche se - come ricorda Francesca Puglisi - «abbiamo un più alto rapporto alunni/insegnanti perché abbiamo un gran numero di insegnanti di religione che altri Paesi non hanno e in altri paesi il costo del sostegno è sostenuto dai ministeri del welfare o della sanità». I dati non suscitano altre riflessioni al ministro Gelmini, che parla addirittura di «alcuni risultati positivi». E assicura che quei dati «confermano la necessità di proseguire nella direzione delle politiche già adottate dal governo». «È l’unica che non si rende conto della realtà», replica la senatrice Vittoria Franco (Pd), che le ricorda, in aggiunta, «i tagli all’istruzione di 8,5 miliardi operati dal suo governo». La titolare dell’Istruzione «gioca la stessa carta dell’ottimismo che ha portato questo governo a ignorare la crisi per tre anni », attacca il segretario della Flc-Cgil Domenico Pantaleo. «Cambiaie rotta, aumentare gli investimenti in istruzione, rinnovare i contratti che questo governo ha bloccato fino al 2014, sono queste le parole che avremmo voluto sentire dal ministro», aggiunge Pantaleo. E non meno critici sono i commenti di Uil, Cisl e Ugl.  


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