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Più soldi all'università, ma non si possono usare per assumere più prof

Il parere del Cun, il parlamento universitario, sul criterio di riparto del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) che passa da 7,327 a 7,450 miliardi: «Gli aumenti sono vincolati a interventi specifici, mentre i soldi per le spese correnti continuano a scendere. Così lo sblocco del turnover è impossibile»

24/08/2019
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Corriere della sera

Orsola Riva

Il governo giallo-verde, e in particolar modo il plenipotenziario di Salvini per l'università Giuseppe Valditara, ne vanno giustamente fieri. L'università italiana negli ultimi dieci anni ha perso oltre diecimila ricercatori: nessun settore della Pubblica Amministrazione ha sofferto tanto. Ma da quest'anno finalmente per le università che hanno i conti a posto il turnover sarà sbloccato oltre i limiti del cento per cento. Il che vuol dire che non solo si potrà fermare l'emorragia, ma pian piano le università potranno tornare ad aver più professori. Ma c'è un ma. Nonostante il governo abbia stanziato 110 milioni in più dell'anno scorso per l'università (7,450 miliardi a fronte dei 7,327 del 2018), questi soldi sono interamente vincolati a iniziative specifiche (dipartimenti d'eccellenza, piano straordinario per ricercatori RTDb) che nulla hanno a che fare con la spesa corrente. Mentre in realtà nelle disponibilità delle università non solo non c'è un euro in più, ma ce ne sono sempre meno. E senza soldi in più, come si fa ad assumere più gente?

L'allarme del Cun

A lanciare l'allarme è il Cun, il parlamento universitario, nel suo parere sui criteri di riparto del FFO, il Fondo di finanziamento ordinario per l'università. «Il CUN apprezza l’aumento di circa l’1,7% rispetto all’anno precedente del FFO complessivo che si aggiunge all’incremento di circa il 5% già avvenuto nel corso del 2018 rispetto all’anno precedente» si legge nel documento. Ma «rileva altresì come l’incremento di finanziamento totale, pari a circa 469 milioni nell’ultimo biennio, sia interamente dedicato a interventi specifici vincolati mentre la somma di quota base, premiale e perequativa è in costante diminuzione ormai da molti anni (dagli oltre 6,4 miliardi del 2014 ai circa 6,260 miliardi del 2019)». Con l'aggravante che nel frattempo, grazie allo sblocco degli stipendi dela pubblica amministrazione e alla nuova normativa che regola gli scatti stipendiali degli università non più ogni tre anni ma ogni due, le università si troveranno nella necessitò di spendere più soldi per pagare i prof. Soldi di cui non c'è traccia nel FFO. Non solo: la nuova disciplina sul fabbisogno finanziario delle università pone un ulteriore vincolo economico agli atenei. Mentre finora gli aumenti della spesa corrente potevano ammontare al 3% su base annua, d'ora in poi non potranno superare il tasso di crescita del Pil nel Def, che si aggira sullo zero virgola. «Ne discende che, in assenza di un finanziamento dedicato, stabile e progressivo nel tempo, il ritorno del turnover su base nazionale a livelli uguali o superiori al 100%, dopo la forte contrazione del personale dell’ultimo decennio, rischia di essere un obiettivo non raggiungibile da un punto di vista economico-finanziario».


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