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Più soldi all’università. Ma il CUN: «Abbiamo le mani legate. Non possiamo spenderli»

Il Parlamento universitario apprezza gli stanziamenti nel Decreto rilancio ma chiede al governo Conte 2 di sbloccare i vincoli finanziari imposti dalla penultima legge di Bilancio licenziata dal Conte 1

01/06/2020
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Corriere della sera

Orsola Riva

Non basta dare più soldi all’università se poi i singoli atenei hanno le mani legate e non possono spenderli. Il parlamento universitario (CUN) dà atto al ministro Gaetano Manfredi di essere riuscito a spuntare importanti finanziamenti nel Decreto rilancio. In particolar modo apprezza il piano da 200 milioni per l’assunzione di 3.333 nuovi ricercatori che si aggiungono ai 1.607 già previsti dal Milleproroghe; i fondi stanziati per allargare la platea dei beneficiari dell’esenzione dalle tasse universitarie e quelli per ridurre l’anomalia italiana dei cosiddetti «idonei non beneficiari», studenti che sarebbero meritevoli di borse di studio ma non le percepiscono perché non ci sono abbastanza soldi: altri 205 milioni di euro. E infine l’incremento del fondo di finanziamento ordinario delle università (300 milioni nel biennio 2021-22) su un totale di circa 7,5 miliardi. Ma, in un documento inviato al ministro Manfredi e per conoscenza al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e al capo dei rettori Ferruccio Resta, chiede che in fase di conversione del decreto vengano introdotti alcuni importanti correttivi.

Primo: in considerazione del periodo di emergenza, chiede di sterilizzare per un triennio il meccanismo che prevede un aumento progressivo della «quota premiale» del Fondo di finanziamento delle università (FFO). Quest’ultima rappresenta una fetta sempre più importante dei soldi assegnati ogni anno a ciascun ateneo ma il suo sistema di calcolo è controverso in quanto è legato al contestatissimo sistema di valutazione della qualità della ricerca universitaria, la cosiddetta VQR, che in passato ha sortito risultati paradossali come quello di eleggere l’altrimenti poco conosciuta università Kore di Enna come centro di assoluta eccellenza per la Fisica, migliore anche della Normale di Pisa. Già adesso essa ammonta a circa un miliardo e mezzo (sui 7,5 complessivi), ma nel prossimo triennio dovrebbe salire fino a raggiungere il 30 % del totale. Il CUN - anche in considerazione dei rilievi già mossi alla nuova VQR che doveva partire quest’estate per concludersi entro la fine del 2021 ma, causa coronavirus, è stata rinviata di almeno sei mesi – chiede che «a ciascun Ateneo sia assegnato per il triennio 2020-2022 un FFO non vincolato non inferiore al maggior valore fra quelli attribuiti nel triennio 2017-2019, aumentato dell’ulteriore finanziamento previsto dal Bilancio dello Stato per il periodo 2020-2022, a sua volta ripartito sulla base della numerosità degli studenti di ogni Università».

Secondo: chiede di esentare permanentemente le università dai limiti di spesa per l’acquisto di beni e servizi imposti dalla legge di Bilancio 2020 a tutta la Pubblica Amministrazione. «In una prima versione del decreto rilancio, in considerazione della situazione d’emergenza, questi limiti erano stati eliminati almeno per il 2020 - spiega un consigliere del CUN -, ma sono poi stati reintrodotti quando il decreto è andato alla bollinatura della Ragioneria di Stato. Imporre agli atenei di rientrare nella media aritmetica delle spese del triennio 2016-18, con quasi metà esercizio 2020 trascorso e con una pandemia in atto, significa mettere a rischio attività come la manutenzione ordinaria degli immobili, gli abbonamenti alle banche dati delle biblioteche, i servizi di portierato, pulizia, vigilanza che consentono l’apertura delle sedi e perfino le spese informatiche». Un controsenso – a parere del CUN – tanto più nelle condizioni attuali di sofferenza del sistema.

Infine il Consiglio universitario nazionale, in quanto organo elettivo di rappresentanza del mondo accademico con funzioni consultive e propositive, manda a dire al Conte bis che è necessaria eliminare i vincoli finanziari imposti dalla penultima legge di Bilancio, in base alla quale il prelevamento di risorse finanziarie di un ateneo dai conti di tesoreria statale non può superare il limite massimo del fabbisogno finanziario dell’anno precedente aumentato del tasso di crescita del prodotto interno lordo reale stabilito dal Def che, attualmente, è pari allo zero virgola. Molto meno di quanto le università necessitano veramente. Il divario fra fabbisogno e consumi effettivi è tale che ormai quasi la metà degli atenei pubblici versa in condizioni di sofferenza. Nel 2019 sul bilancio delle università hanno pesato molto gli aumenti salariali che erano stati sbloccati dal governo Gentiloni. Fra scatti triennali e adeguamento dell’Istat parliamo di un aumento della spesa fra il 4 e il 5 % a fronte di un aumento del fabbisogno dello 0,4 %, pari allo 0,6 % di aumento del Pil depurato dall’inflazione. Ecco perché il CUN, pur apprezzando le modifiche apportate nel decreto rilancio, chiede che «sia profondamente revisionato l’attuale meccanismo del fabbisogno finanziario... attraverso meccanismi volti a liberare l’uso delle crescenti risorse depositate sui conti della tesoreria statale».