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Più poteri ai presidi di sanzionare i docenti, scontro con i sindacati

Uno dei punti chiave della trattativa per il contratto

23/01/2018
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ItaliaOggi

Carlo Forte

Continua il braccio di ferro tra sindacati e Aran sul contratto e, in particolare, sulla materia delle sanzioni disciplinari. Il motivo del contendere è l'affidamento ai dirigenti scolastici del potere di sospendere i docenti fino a 10 giorni in deroga al Testo unico. In pratica il governo vorrebbe estendere anche ai docenti le sanzioni previste per i dipendenti pubblici in generale, che, in caso di sospensione, prevedono solo la privazione della retribuzione. E se ciò dovesse avvenire, verrebbe rimosso l'unico ostacolo che ancora preclude ai dirigenti scolastici l'esercizio del potere disciplinare fino alla sospensione dei docenti. Potere sospensivo che, peraltro, non esiste negli altri ambiti e comparti della pubblica amministrazione, laddove il potere disciplinare, oltre il rimprovero verbale, viene esercitato da un organo a parte: l'ufficio per i provvedimenti disciplinari.

La settimana scorsa i sindacati, coralmente, hanno rigettato la proposta dell'Aran e hanno chiesto che possa essere garantita la terzietà del giudizio disciplinare evitando la sostituzione della sospensione fino a un mese, prevista dal testo unico, con la sospensione fino a 10 giorni prevista in via generale per il restante personale della pubblica amministrazione, in ciò assoggettando i docenti al potere disciplinare del preside anche per le sospensioni.

Nel corso delle trattative le delegazioni sindacali hanno fatto rilevare che la funzione docente, in quanto deputata a realizzare il diritto all'istruzione, si esplica mediante l'esercizio della libertà di insegnamento garantita dalla Costituzione. E proprio per la particolare importanza e delicatezza della funzione il legislatore ha previsto sanzioni più pesanti per i docenti inadempienti. E al tempo stesso ha affrancato i docenti dalla competenza disciplinare del dirigente scolastico per le sanzioni sospensive e per quelle che comportano la risoluzione del rapporto di lavoro.

Il decreto Brunetta, infatti, nel prevedere l'abrogazione di alcune disposizioni procedurali contenute nel testo unico dell'istruzione, ha lasciato intatte quelle che comprendono la disciplina sostanziale della sanzioni escludendo dalla competenza disciplinare dei dirigenti scolastici le sanzioni oltre la censura. L'introduzione di sanzioni diverse da quelle previste dall'ordinamento potrebbe, inoltre, rendere inapplicabile, per i docenti, l'esercizio dell'azione disciplinare. Il decreto Madia, infatti, prevede che le deroghe introdotte dalla contrattazione collettiva debbano comunque rispettare i vincoli previsti dalla legge, specie in materia di sanzioni disciplinari. Pertanto, la contrattazione non può modificare la legge, ne è in meglio né in peggio: può solo interpretare le norme generali tramite l'introduzione di norme di dettaglio. Nel caso delle sanzioni disciplinari, dunque, la contrattazione può solo chiarire e specificare quali siano i comportamenti antidoverosi da porre in collegamento con le sanzioni, ma non può modificare le sanzioni stesse. Eventuali modifiche, in meglio o in peggio, comporterebbero la nullità della clausola negoziale contenente la deroga e la sostituzione automatica della clausola illegittima con la norma di legge con cui contrasta. Questo procedimento è espressamente previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo 165/2001 ed è stato introdotto a suo tempo dal decreto Brunetta.

Dunque, se la contrattazione dovesse introdurre la sospensione fino a 10 giorni in luogo di quella fino a 30 giorni prevista dal testo unico, il docente sanzionato (a prescindere se colpevole o innocente) avrebbe gioco facile per far dichiarare nulla la sanzione dal giudice. Nullità discendente dal fatto che, essendo derivante da una clausola contrattuale illegittima (perché in contrasto con la norma di legge contenuta nel testo unico) tale clausola risulterebbe automaticamente sostituita dalla norma di legge con cui contrasta, che non prevede la sanzione fino a 10 giorni, ma quella ben più grave delle sospensione fino ad un mese.

Il rischio che si corre, dunque, è quello di rendere inefficace l'esercizio dell'azione disciplinare. Così come avviene già adesso quando i dirigenti scolastici applicano ai docenti la sospensione fino a 10 giorni. E la sanzione viene impugnata davanti al giudice che ne dispone sistematicamente l'annullamento. Nel corso della trattativa le parti hanno anche evidenziato la necessità di istituire un organo stragiudiziale per consentire la risoluzione delle controversie senza andare davanti a un giudice togato. Il decreto Brunetta, infatti, ha disposto l'abrogazione delle disposizioni di legge che prevedevano la possibilità di esperire un tentativo di composizione bonaria delle controversie (la cosiddetta conciliazione) o, una volta fallito il tentativo, di demandare ad un arbitro la soluzione della controversia. Arbitro che emetteva la decisione tramite il cosiddetto lodo: una sorta di sentenza privata con la quale veniva argomentata ed esplicitata la decisione. Si trattava di procedure a costi zero, per la conciliazione, e con spese piuttosto contenute per l'arbitrato (400 euro a carico della parte soccombente). Dopo la cessazione di questi istituti l'unico rimedio rimasto è quello del ricorso al giudice, fatta eccezione per la conciliazione e l'arbitrato rituale che, però, sono più complicati e l'arbitrato ha comunque costi proibitivi.

L'aumento esponenziale del numero delle cause davanti ai giudici ordinari, peraltro, ha indotto il legislatore ha riformare il codice di procedura civile nel senso di porre quasi sempre a carico della parte soccombente le spese di giudizio. Spese di giudizio che, nel corso degli anni hanno visto lievitare esponenzialmente i relativi importi. Che in primo grado posso raggiungere i 3 mila euro (più o meno due stipendi medi di un docente a metà carriera) e in II grado, talvolta, anche i 12 mila euro. E a ciò vanno aggiunte le spese per l'avvocato che si aggirano mediamente in 1.500 euro per ogni grado di giudizio più le spese vive. In molti casi, dunque, i diretti interessati si rassegnano a non impugnare le sanzioni anche quando le ritengano ingiuste, in quanto scoraggiati dalle forti spese che comporta intraprendere un'azione. L'assenza della possibilità di adire procedure stragiudiziali meno costose, dunque, si traduce, di fatto, in un mancato accesso alla giustizia. Il tutto aggravato dal fatto che nel procedimento disciplinare il dirigente scolastico non solo è l'autorità procedente e giudicante ma una delle parti della controversia.


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