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Pitagora e la valutazione della ricerca

di Nicola Casagli

12/11/2015
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ROARS

Tutto è numero – sosteneva Pitagora di Samo – e fece molti seguaci, perché con i numeri si potevano dare spiegazioni semplici a molte cose.

Già da giovane si era incaponito nel cercare di convincere il tiranno dell’isola di Samo a usare i numeri per ogni decisione politica, economica e sociale. Fu presto inseguito con i forconi e costretto dapprima a nascondersi in una grotta in cima a una montagna e poi a scappare in Magna Grecia.

In Italia, a Crotone, invece i politici locali gli dettero subito credito e gli elargirono ingenti finanziamenti, ottenuti dalle tasse dei cittadini, che ogni anno la legge di stabilità del tiranno di turno si premurava di incrementare.

Con quella ingente massa di denaro, Pitagora fondò una scuola filosofica – oggi la chiamerebbero Agenzia – per concepire sempre nuove elucubrazioni sui numeri e la numerologia.

I membri della setta iniziarono presto a sviluppare un linguaggio iniziatico, infarcito di cifre, simboli, formule e indicatori, e divennero presto incapaci di esprimersi in greco corretto. Nessuno infatti li capiva, ma tutti li rispettavano perché i pitagorici sapevano i numeri ed erano ben protetti.

Ben presto così Pitagora e i suoi discepoli conquistarono il potere politico della città e, in pochi anni, si diffusero governi pitagorici in molte altre polis della Magna Grecia.

Viaggiavano molto, i pitagorici, e dai Celti della Britannia appresero un sistema per valutare l’arte e la scienza con degli indici runici. Entusiasti, importarono il metodo a Crotone ma, purtroppo, nella traduzione in greco lo resero estremamente complesso e incomprensibile. D’altra parte questi filosofi della Magna Grecia i bizantinismi ce li avevano già nel DNA.

A un discepolo della scuola pitagorica, tale Eurito di Crotone, venne in mente di trovare il numero caratteristico di ogni essere vivente e si intestardì nel computare il numero di sassolini necessari per comporre l’immagine di ciascun individuo. Lo chiamarono H-index (si dice che H stesse per Hellenic, tradotto in lingua celtica perché così era più alla moda) e questo numeretto fu subito adottato dall’oligarchia locale per condizionare carriere politiche e distribuire cariche pubbliche, prebende e punizioni.

Un altro discepolo, Archita di Taranto, era convinto che ogni individuo dovesse essere ricompensato secondo i propri meriti e che il merito appunto – misurato con i metodi pitagorici – dovesse essere il criterio guida per la distribuzione dei danari pubblici. Egli aveva inventato la meritocrazia e così i numeri pitagorici potevano finalmente essere usati per costruire una società migliore.

Un giorno Crotone decise di muovere guerra alla ricca città di Sibari, i cui abitanti erano ritenuti colpevoli di vivere troppo spensieratamente, senza regole numeriche e condizionamenti mistico-esoterici. In altre parole i sibariti non rispettavano i “requisiti minimi di qualità” rigidamente fissati dalle tavole pitagoriche, insomma non erano “accreditati” per poter continuare a esistere come polis autonoma e indipendente. Vinsero i crotonesi e il buon Pitagora ebbe l’idea di deviare il corso del fiume Crati per cancellare per l’eternità la città rivale, forse nel timore della sopravvivenza di idee diverse dalle sue.

Pitagora era infatti un vero democratico, aperto al confronto e alla discussione, tanto che organizzava spesso dei gruppi di ascolto a cui esponeva le sue teorie, invariabilmente esordendo con la seguente frase:

“Per l’aria che respiro, per l’acqua che bevo, non sopporterò alcuna obiezione su ciò che sto per dire.”

Un brutto giorno Pitagora si imbatté nel rapporto tra la diagonale e il lato del quadrato, e si accorse che non poteva essere espresso con i numeri razionali conosciuti fino ad allora. Ci rimase molto male.

Uno dei sui allievi più brillanti, Ippaso da Metaponto, gli fornì la spiegazione, scoprendo i numeri irrazionali. Pitagora ne restò sconvolto e perse evidentemente la ragione: mandò a morte il povero Ippaso, convertì il suo sodalizio in una setta segreta, escogitò strani rituali iniziatici, diventò una specie di sciamano e sviluppò strane fobie, come quella per le fave (è proprio così – senza doppi sensi – lo dice la storia!).

Alla fine i cittadini di Crotone non sopportarono più né lui né i suoi seguaci. Organizzarono una rivolta popolare, tesero un agguato, gli bruciarono la casa e lo linciarono, per l’appunto, in un campo di fave.

Si racconta che i Pitagorici dovessero rispettare rigorosamente 15 bizzarre regole per poter essere ammessi alla setta (da Scuola pitagorica su Wikipedia):

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  1. astieniti dalle fave
  2. non raccogliere ciò che è caduto
  3. non toccare un gallo bianco
  4. non spezzare il pane
  5. non scavalcare le travi
  6. non attizzare il fuoco con il ferro
  7. non addentare una pagnotta intera
  8. non strappare le ghirlande
  9. non sederti su di un boccale
  10. non mangiare il cuore
  11. non camminare sulle strade maestre
  12. non permettere alle rondini di dividersi il tuo tetto
  13. quando togli dal fuoco la pignatta non lasciare la sua traccia nelle ceneri, ma rimescolale
  14. non guardare in uno specchio accanto ad un lume
  15. quando ti sfili dalle coperte, arrotolale e spiana l’impronta del corpo.

Oggi nel documento sulla Valutazione della Qualità della Ricerca 2011-2014 (VQR 2011-2014) si elencano le seguenti regole del “processo di valutazione”:

I risultati della valutazione sono articolati, per ciascuna Istituzione e Dipartimento, in tre profili di qualità e in un profilo complessivo:
a)  profilo di qualità dei prodotti della ricerca, anche distinto per area, per settore concorsuale e per settore scientifico-disciplinare, ed espresso come distribuzione percentuale nei cinque livelli di cui all’articolo 5, comma 2 del DM, dei prodotti attesi dagli addetti alla ricerca nel periodo 2011 – 2014. Il risultato della valutazione è reso pubblico solo nel caso in cui il sottoinsieme di riferimento è composto da almeno tre addetti;
b) profilo di qualità dei prodotti della ricerca, anche distinto per area, per settore concorsuale e per settore scientifico-disciplinare, ed espresso come distribuzione percentuale nei cinque livelli di cui all’articolo 5, comma 2 del DM, dei prodotti attesi dagli addetti alla ricerca che, nel periodo 2011 – 2014, sono stati assunti dalla Istituzione o sono transitati al suo interno in una fascia o ruolo superiore nell’ambito dell’Istituzione. Il risultato della valutazione è reso pubblico solo nel caso in cui il sottoinsieme di riferimento è composto da almeno tre addetti;
c) profilo di competitività dell’ambiente di ricerca, come di seguito indicato:
– Istituzioni Universitarie: capacità di attrazione di finanziamenti competitivi internazionali e statali, caratteristiche dell’offerta formativa a livello dottorale;
– Enti di Ricerca: capacità di attrazione di finanziamenti competitivi internazionali e statali, dottorati di ricerca in collaborazione con università.
Il profilo di qualità complessivo di ciascuna Istituzione è determinato a partire dai tre profili di qualità a), b) e c), attribuendo a quello di cui alla lettera a) un peso pari al 75%, a quello di cui alla lettera b) un peso pari al 20% e a quello di cui alla lettera c) un peso pari al 5%.
Inoltre, per ciascuna Istituzione e Dipartimento (o articolazione interna a esso assimilata) si calcolano almeno i seguenti indicatori sintetici, anche distinti per area, per settore concorsuale e per settore scientifico-disciplinare:
d) il rapporto tra la somma delle valutazioni attribuite ai prodotti attesi dell’Istituzione nell’Area e la valutazione complessiva di Area;
e) il rapporto tra il voto medio attribuito ai prodotti attesi dell’Istituzione nell’Area e il voto medio ricevuto da tutti i prodotti dell’Area;
f) il rapporto tra la frazione di prodotti eccellenti dell’Istituzione nell’Area e la frazione di prodotti eccellenti dell’Area.
Oltre agli indicatori elencati, si studieranno modalità di applicazione più generali degli indicatori calcolati per i dipartimenti (quali il voto standardizzato di dipartimento) come risultato della collaborazione ANVUR-CRUI post VQR 2004-2010.
La metodologia di valutazione dei prodotti di ricerca che dà luogo ai primi due profili di qualità delle pubblicazioni di cui alle lettere a) e b) precedenti e agli indicatori sintetici d), e) e f) è descritta nella Sezione 2.6.1.
Le modalità di costruzione del terzo profilo di qualità relativo alle caratteristiche dell’ambiente della ricerca di cui alla lettera c) precedente sono descritte nella Sezione I.1 dell’Appendice I.

Le regole pitagoriche e quelle dell’ANVUR sono certamente cose ben diverse ma, più le leggo, e le rileggo, più mi appaiono simili. In verità una differenza sostanziale c’è: quelle di Pitagora si capiscono.

Nella “Vita pitagorica” di Giamblico si legge:

I pitagorici più stimati furono Fantone [sic], Echecrate, Polimnasto e Diocle, nativi di Fliunte, e Senofilo, calcidese di Tracia. Essi preservarono i costumi di vita e gli insegnamenti originari, per quanto la scuola venisse meno via via; infine scomparvero non ingloriosamente.”

Che dire? La realtà storica è capace di superare ogni immaginazione! Certamente, come diceva Karl Marx, la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.

Su ROARS vengono pubblicate analisi tecniche e scientifiche sui limiti e le incongruenze della VQR, dell’AVA e della ASN, eppure si va avanti nominando nel consiglio direttivo dell’ANVUR filosofi pitagorici, non più capaci di esprimersi correttamente nella nostra lingua. Si investono enormi risorse per elargire loro uno stipendio da 184.000 euro l’anno per ciascuno, che talvolta si cumula a pensioni e vitalizi. Intanto le progressioni stipendiali dei ricercatori sono bloccate da cinque anni.

La Scienza e la Società progrediscono con i dubbi e le discussioni, non con la fede pronta, cieca e assoluta nei dogmi pitagorici dei burocrati dell’ANVUR. Eppure nessuno dice niente. Perché ormai i docenti universitari sono considerati poco più che un campo di fave e qui – scusatemi – il doppio senso ci sta tutto!


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