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Piero Angela: no al declino

Una scuola nuova per avere un futuro

14/08/2019
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La Stampa

Alberto Sinigaglia, Fregene

Sei da Piero Angela nella sua casetta al mare cinquant’anni dopo la prima orma umana stampata da Armstrong sulle sabbie lunari, ti aspetti alate parole. Lui afferra la Luna per metterti di fronte all’analfabetismo digitale che affligge l’Italia. Comincia dall’economia, dal debito pubblico: «Il nostro arriva a 2.300 miliardi. Una cifra astratta. Ma quanti sono davvero? Prova a mettere una banconota da 100 euro su un tavolo. Aggiungine accanto un’altra e un’altra e un’altra ancora fino a 2.300 miliardi. Ne uscirebbe un nastro lungo cinque volte la distanza dalla Terra alla Luna. Quando mai riusciremo a pagarli? Se continuiamo a far debito invece di abbatterlo manderemo sempre più in tilt la macchina della ricchezza alimentando la macchina della povertà».

Non ci deve pensare la politica?
«Contrariamente a quanto si pensa, la politica non ha mai creato ricchezza. Per secoli, per millenni i popoli del mondo sono rimasti analfabeti, poveri, con poco cibo. Ovunque, da una parte i ricchi dall’altra i poveracci».

Quando comincia il cambiamento?
«Tra ’800 e ‘900, quando le ruote hanno cominciato a girare nei campi e nelle officine, grazie a un’energia trasportabile. La popolazione agricola in Italia rappresentava oltre il 70%, oggi meno del 4%. In America meno dell’1%. Lo stesso è accaduto nelle fabbriche. L’efficienza produttiva rende cibo e oggetti sempre più accessibili, diffonde il benessere e permette la scolarizzazione: dall’analfabetismo di massa si passa alla scuola (e all’università) di massa. Cambiano i lavori, scienza e tecnologia si infilano in ogni campo, facendo rivoluzioni. E continuano a ritmo incalzante. Dobbiamo adattarci a questo ritmo. È lì che dobbiamo agire».

Agire con quali priorità e quali strumenti?
«Innovazione, ricerca, educazione, valori, imprenditorialità: cinque strumenti, un pacchetto unitario. Potrà arrestare la macchina della povertà, rimettere in moto la produttività. La nostra è ferma mentre l’Europa è in crescita e abbiamo competitori enormi. Abbiamo tra l’altro un serio problema demografico».

Siamo un paese di anziani, pensionati e pochi giovani.
«Crollo delle nascite e longevità s’intrecciano, mettendo in crisi la classica sequenza "studio - età produttiva – pensione". Il segmento degli attivi dovrà mantenere coloro che non producono ancora e coloro che non producono più. La natalità in Italia è di un figlio ogni coppia, in Francia quasi due figli grazie agli incentivi statali. Anche l’Europa del Nord è più prolifica di noi. Ma non è il guaio più grave».

Il guaio più grave è il vuoto culturale?
«È la scuola. Se ne parla troppo poco e mai come se ne dovrebbe parlare. Si discute di insegnanti precari, di scuola pubblica e privata, di edifici fatiscenti, di mense scolastiche. Non di efficienza dell’insegnamento, di programmi da cambiare per non perdere contatto con il mondo. In Asia si formano milioni di ingegneri, studiano come matti, Est e Sudest sfornano bravissimi matematici. Il futuro della tecnologia rischia di essere nelle loro mani».

La politica non ci pensa?
«I partiti - tutti i partiti – pensano alle elezioni, parlano di casa-lavoro-sanità-pensioni, promettono di distribuire ricchezza secondo meriti e bisogni. Ma per distribuire ricchezza bisogna creare ricchezza. Crescere in competitività è la condizione per mantenere lo stato sociale. Se si scaricano le inefficienze sul debito pubblico crescono gli interessi passivi, scatta lo spread e ti metti fuori dall’Europa. Non ci vuole tanto per capirlo. E poi siamo molto arretrati, rispetto ad altri paesi, nella alfabetizzazione digitale».

La scuola, la tv, il web possono rimediare...
«Ai tempi del maestro Manzi la tv rimediava all’analfabetismo letterario d’una fascia bassa della popolazione. Mentre l’analfabetismo digitale è molto diffuso e colpisce anche la fascia alta, in particolare la pubblica amministrazione. La sua digitalizzazione, lo dicono gli esperti, sarebbe determinante per rendere trasparente tutto ciò che passa nella contabilità e nei contratti eccetera, combattendo in questo modo la corruzione».

Paese arretrato, analfabeta digitale: un giudizio severo.
«Un esempio banale: quello dei pomodori. L’Italia ne importa dall’Olanda migliaia di tonnellate: belli e sani, a prezzi competitivi, coltivati in serre idroponiche iperproduttive, con acqua riciclata in continuazione, senza pesticidi, insetti contro insetti in lotta biologica. Si è mai confrontato questa immagine con quella dei poveracci vittime del caporalato che raccolgono pomodori a due euro l’ora? Si parla mai di innovazione, produttività, ricerca, insegnamento, competitività, imprenditorialità, demografia, compatibilità, nei dibattiti televisivi?».

Ci vuole un riscatto culturale.
«Cultura non è solo letteratura, arte, cinema, musica, ma adattamento al progresso. Nel libro La vasca di Archimede chiamavo "cultura con la Q" la cultura non in grado di leggere il mondo moderno, capire le novità, trarne le conseguenze. Era il 1975: preistoria. Quarantaquattro anni dopo siamo ancor più disorientati dai passaggi velocissimi della scienza e della tecnologia».

Che cosa devono fare la cultura, la politica per migliorare l’incrocio tra velocità del cambiamento e velocità dell’adattamento?
«Affrontare l’attuale corsa contro la macchina ed essere più veloci. Concentrarsi su uno sforzo educativo, che dia strumenti di navigazione nella modernità ai nostri figli e nipoti, e anche ai figli d’immigrati a scuola con loro, che parlano con accento piemontese o veneto o romano, ma non hanno quelle amicizie e relazioni che spesso nel nostro paese decidono una vita».