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Perdiamo i talenti della ricerca Serve un piano per valorizzarl

Gli studiosi italiani secondi in Europa per fondi vinti Ma la stragrande maggioranza lavora all’estero

17/09/2020
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Corriere della sera

Alberto Mantovani

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I risultati del più prestigioso bando europeo di finanziamento alla ricerca, European research council (Erc), rivolto ai giovani segnano una grave sconfitta per l’Italia. Perché i nostri ricercatori sono secondi solo ai tedeschi per numero di grant vinti, ma — è questo il dato allarmante — la stragrande maggioranza di loro lavora all’estero. E il nostro Paese non attira i vincitori, italiani e stranieri.

Seguendo l’invito del Presidente Mattarella sulle pagine del Corriere, a riflettere sulla necessità di «reimpostare le priorità, anche di spesa e di investimenti», consapevoli che «le scelte che prenderemo in questa stagione segneranno profondamente non solo il nostro domani, ma anche quello delle prossime generazioni», è nostro dovere porci una domanda. Perché l’Italia non è in grado di attrarre ricercatori di talento dall’estero e di trattenere quelli italiani?

La ricerca scientifica è sotto-finanziata, il trasferi-mento tecnologico molto in-sufficiente

Posto che il patrimonio di intelligenza e cuore su cui investire è indiscusso — un «miracolo italiano», visti gli scarsi investimenti in formazione — e la classifica Erc lo dimostra, si rende necessaria un’analisi dei motivi della scarsa attrattività del nostro Paese per i ricercatori italiani e stranieri. Di certo il sotto-finanziamento della ricerca scientifica, il trasferimento tecnologico gravemente insufficiente, la complessità del sistema, dove manca uno sportello pubblico affidabile per chi vuole fare ricerca fondamentale, e l’assenza di grant pubblici individuali, uno dei pilastri su cui si fonda un sistema di ricerca sano. Ci sono poi impedimenti burocratici che rendono difficile, per uno straniero, orientarsi ed integrarsi nel nostro sistema, come invece accade in Germania o nel Regno Unito. Che, nella classifica Erc, si distingue per la capacità di attrarre grant nonostante il difficile momento dovuto all’uscita dall’Unione europea. In Italia c’è solo una charity, Fondazione Cariplo, che ha avviato un programma di finanziamenti complementari (matching funds), in passato insieme a Regione Lombardia, per chi porta in Italia grant Erc, sostenendo ad esempio l’accesso a piattaforme tecnologiche, eventualmente fondi per trasferire la famiglia e integrazione di stipendio. Pur su scala molto piccola, i risultati sono stati importanti: i matching funds hanno aiutato ad attirare cervelli, in un momento in cui altri Paesi hanno impostato politiche aggressive di ritorno dei propri scienziati in patria. Ad esempio la Cina, che promette non solo guadagni, responsabilità e posizioni accademiche permanenti, ma anche grant individuali ed un sistema in generale attrattivo.

Manca uno sportello pubblico affidabile per chi vuole fare ricerca di base

In un momento in cui Covid-19 ha ricordato l’importanza della ricerca anche come competenza tecnologica, ad esempio per implementare velocemente una diagnostica efficace di prima linea, per impostare le nuove priorità dell’Italia l’appello è pensare — oltre al Recovery Fund, certamente utile come ribadito anche dal ministro Manfredi — ad un Recovery Plan. Un piano di azioni concrete e realizzabili a breve, medio e lungo termine, mirate a valorizzare la ricerca scientifica ed i suoi protagonisti, oltre che a favorire il trasferimento tecnologico. Così da rendere il sistema-Paese degno dei migliori standard internazionali. Con la consapevolezza che in questo campo si gioca il futuro di tutti noi.


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