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Perché siamo meglio dei robot? Ecco le università che insegnano il futuro

I giovani temono di essere sostituiti dall’intelligenza artificiale in pochi anni. Ma ai robot manca la flessibilità e la creatività. Le lauree davvero innovative oggi puntano su un mix di digitale e human skills. Così pure le aziende. Ecco i corsi più innovativi che preparano ai mestieri di domani

21/09/2019
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Corriere della sera

Roberta Giuili e Marialaura Iazzetti

In una classe elementare di 30 bambini, 19 da grandi faranno un lavoro che oggi non esiste. Questo è il futuro che prevede il World Economic Forum (Wef ). Ma i primi segnali della trasformazione del mercato del lavoro sono evidenti già da oggi. Prima di tutto per l’incidenza che questo cambiamento ha sul tasso di disoccupazione giovanile (che nel mondo interessa 71 milioni di ragazzi) e poi per il senso di inadeguatezza diffuso tra gli studenti. Chi oggi ha 20 anni si sente perso e in molti casi pensa che il suo lavoro potrà essere svolto da un robot. In realtà, non è così. Esistono abilità che non possono essere riprodotte dall’intelligenza artificiale e che proprio per questo motivo dovrebbero essere implementate. «Oggi mancano flessibilità e creatività, capacità logico-deduttiva e conoscenze informatiche: tutte competenze che non è possibile trovare in una macchina». A dirlo è Cristina Pozzi, che è stata nominata Young Global Leader dal Wef per aver fondato «Impactscool», un’associazione che ha l’obiettivo di aiutare le persone a immaginarsi nella società del domani. Da una parte c’è il contenuto: «Facciamo laboratori pratici gratuiti con le nuove tecnologie per fornire agli studenti le competenze adatte a governare l’intelligenza artificiale». Dall’altra c’è il metodo: «Organizziamo lavori di gruppo dove ci poniamo delle riflessioni etiche per stimolare un nuovo modo di pensare».

Un’istruzione migliore

Il problema non è solo italiano. Il rapporto Unicef stilato in occasione del Forum di Davos ha rilevato che il 26 per cento dei giovani intervistati in 160 Paesi del mondo chiede un’istruzione migliore. Le competenze che la società del domani richiede non possono essere insegnate soltanto all’università, ma bisognerebbe iniziare a impararle fin da piccoli. Quando Cristina parla della sua azienda utilizza più volte l’espressione «Insegnare il futuro». In Finlandia questa è una materia al pari di storia, matematica ed educazione fisica. Si svolgono laboratori pratici per affrontare quello che oggi vediamo solo nei film di fantascienza. L’Italia è molto più legata al sistema scolastico tradizionale.

Tredici ore all’anno

Nel 2014 il ministero dell’Istruzione aveva varato un progetto con l’obiettivo di portare nelle classi le materie del futuro: Informatica, laboratori per lo sviluppo del pensiero computazionale e principi di Economia. A oggi, però, in media nel corso di un anno gli studenti dedicano a questi argomenti soltanto 13 ore di lezione. «Fino a ora si è fatto pochissimo. Da settembre prossimo il Miur ci ha invitato nelle scuole elementari una volta a settimana per svolgere i nostri laboratori», dice la fondatrice di Impactscool. Intanto università e aziende stanno cercando di colmare le lacune formative.

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Le nuove lauree

L’università italiana sta integrando le cosiddette lauree di nuova generazione che arrivano dall’estero: corsi che offrono più prospettive occupazionali e che costruiranno le professioni del futuro. Per esempio, quella del data scientist, che oggi in Italia è ancora poco presente. Nel 2016, secondo il rapporto del Miur, esistevano solo 11 percorsi di studio in data science di cui una laurea triennale e tre magistrali. «Facendo uno stage in una multinazionale dopo la laurea triennale in Economia ho capito che le mie competenze in un futuro avrebbero potuto essere automatizzate», spiega Niccolò Salvini, che sta studiando data science all’Università Cattolica di Milano (il corso ha aperto nel 2017). «Mi sono chiesto: come faccio a essere meglio di un robot? Innanzitutto, scegliendo un ambito con tanta domanda e poca offerta». Il lavoro del data scientist consiste nel costruire modelli per prevedere il futuro. «Proprio per la richiesta così alta si sta iniziando a pensare che questa mansione possa essere svolta da un robot», continua Salvini, «l’unica cosa che non potrà essere sostituita è la creatività: il data scientist umano può soppiantare la ripetitività con l’analisi creativa». Perciò sviluppare le competenze digitali e creare sempre più corsi dedicati all’analisi dei dati, non vuol dire abbandonare le materie umanistiche.

Presente e futuro

L’istruzione universitaria del futuro non avrà un’impronta solo scientifica. Come rivela lo studio dell’Osservatorio Expotraining, nel 2027 il 24 per cento delle domande di lavoro sarà rivolto a chi ha studiato Filosofia o Lettere, perché le nuove tecnologie porranno degli interrogativi etici a cui soltanto un ragionamento poliedrico potrà dare una risposta. «Quando mi sono iscritta a Filosofia pensavo che potessi fare solo la professoressa. Non avevo idea dell’esistenza di ruoli come quello della chief philosophy officer fino al primo anno di magistrale, quando sono finita per caso a una conferenza tenuta all’università da una responsabile sociale d’impresa», racconta Marta Todaro, che ora sta cercando lavoro in questo campo. Sono molti gli studenti che ignorano queste nuove possibilità professionali. I compiti del chief philosophy officer spaziano dall’organizzazione della strategia comunicativa alla consulenza manageriale. Come spiega il filosofo Raffaele Tovazzi in un’intervista a «Forbes»: «Le multinazionali sono imperi contemporanei, e chi sta al vertice di queste realtà fa quello che i regnanti hanno sempre fatto: circondarsi di gente per comprendere il presente e formare il futuro». In Italia queste nuove figure sono ancora poco considerate e, afferma Todaro, «quando hai sul curriculum una laurea umanistica ti chiedono sempre un master aggiuntivo orientato a colmare le tue lacune in campo economico o informatico».

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Al via le «Coding Girls»

Che cos’è la blockchain

Al di là delle lauree di nuova generazione l’università è ancora troppo cristallizzata. Nella gran parte dei casi i giovani hanno bisogno di una formazione aggiuntiva che sono le aziende a richiedere e procurare. Per tre responsabili su quattro delle risorse umane, sentiti da University2Business nell’analisi «Il futuro è oggi: sei pronto?», risulta difficile trovare laureati digitalmente preparati. Il 60 per cento degli studenti intervistati non sa neanche cos’è la blockchain. «Quando ho fatto un colloquio mi hanno detto che avrei iniziato lo stage solo dopo aver frequentato un corso più specifico di programmazione di 6 settimane», racconta Filippo Forti, che subito dopo la laurea triennale in Ingegneria è entrato nel mondo del lavoro come consulente tecnologico. Di solito i ragazzi che seguono questi tipi di corsi di aggiornamento aziendale sono comunque stipendiati: le società decidono su quali giovani investire e li preparano per i ruoli che andranno a ricoprire.

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Le nuove competenze

Una formazione che si occupa di competenze tecniche, come matematica, scienza o ingegneria, ma inizia anche ad investire sulle cosiddette human skill come originalità, iniziativa e pensiero critico. Quelle stesse skill che ci permetteranno di non essere sostituiti dai robot. «Le aziende cercano una persona adatta al futuro, che sappia costantemente rivoluzionarsi», spiega Fedra Fumagalli, volontaria di Impactscool, laureata in Economia alla Bocconi che lavora da anni nel mondo delle multinazionali e che oggi svolge il ruolo di responsabile delle risorse umane. A questi percorsi formativi organizzati dalle imprese, però, non riescono ad accedere tutti: o devi essere stato selezionato tra i tanti ragazzi che hanno fatto richiesta per quella determinata posizione lavorativa oppure devi essere disposto a investire soldi in un master che, la maggior parte delle volte, è organizzato dalle stesse aziende a cui poi chiederai di assumerti. Alessia Racaniello per esempio, dopo un anno a cercare lavoro con la laurea in Economia, ha pensato che soltanto accedendo a un corso privato finanziato dalle multinazionali sarebbe diventata competitiva.

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Lo stato della scuola digitale

Il nodo dell’equità

Questi corsi all’università non vengono pubblicizzati, richiedono un investimento economico e una preparazione tale da passare la selezione. «Nella società del futuro non dovrebbe essere formato solo chi ha la possibilità economica o chi è così talentuoso da emergere, ma dovremmo preparare tutti ai cambiamenti che verranno», afferma Cristina Pozzi, «ora come ora non ci sono strumenti per una riforma completa di tutti i livelli di istruzione. Per questo a occuparsi della formazione sono università e aziende. Ma non potrà essere sempre così».


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