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Perché chiediamo alla scuola, all'università e alla ricerca di scioperare il 20 maggio

Di Domenico Pantaleo, Segretario generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL

19/05/2016
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L'Huffington Post

I tre sindacati confederali della scuola, Flc Cgil, Cisl scuola e Uil scuola, insieme con lo Snals-Confsal hanno proclamato per venerdì 20 maggio lo sciopero generale della scuola. Flc Cgil e Uil hanno poi allargato lo sciopero anche ai lavoratori delle università, della ricerca e dell'Afam. Iniziative pubbliche e manifestazioni avranno luogo nelle principali piazze italiane, in una mobilitazione generale che si annuncia ampia e unitaria. Per i lavoratori delle università e della ricerca è invece previsto un presidio presso il Ministero dell'Istruzione, in viale Trastevere a Roma.

Tutte le volte che si sciopera si esercita un diritto di libertà, come lo definì Piero Calamandrei, previsto dall'articolo 40 della Costituzione. Proclamare uno sciopero, per un sindacato, non è mai un rito, anzi solleva una questione eminentemente democratica al suo interno, perché sollecita gli iscritti a esprimersi e a rinunciare alla "paga" per un giorno. Le ragioni dello sciopero devono essere forti, convincenti e ragionevoli perché attragga l'adesione del maggior numero dei lavoratori. Sembrano, queste, considerazioni scontate, ma vale la pena, ogni volta, ribadirle, soprattutto verso coloro che, sfiduciati, pur credendo nel valore delle rivendicazioni proposte dai sindacati, decidono di non aderirvi.

Di fatto, lo sciopero generale è davvero l'arma più democratica per affermare diritti negati, perfino quando si hanno dinanzi come interlocutori enti, istituzioni o datori di lavoro che appaiono sordi e ciechi, e talvolta anche muti. Nel caso della scuola, lo sciopero generale del 20 maggio, segue a un anno di distanza lo straordinario sciopero generale del 5 maggio 2015, a testimonianza del fatto che la legge sulla "brutta scuola" del governo Renzi, imposta con un voto di fiducia, continua a suscitare dissensi e opposizioni. A ciò si aggiunge il malessere per il mancato rinnovo del contratto nazionale di lavoro, fermo da ben sette anni. Non si può più rinviare, anche perché nel frattempo sono intervenute due sentenze, una delle quali della Corte Costituzionale, che impongono all'esecutivo di non rinviare ancora, di non prendere, o rubare, altro tempo a tutto il personale della scuola, in attesa di segnali positivi. Né si può più rinviare la soluzione dell'enorme questione relativa al personale tecnico amministrativo (ATA), ignorato dalla legge 107 del luglio 2015, e oggetto in questi anni di tagli drammatici nell'organico e nel salario.

Eppure tutti sappiamo quanto preziosa sia l'opera quotidiana di questi lavoratori per le nostre scuole, opera che andrebbe premiata con un preciso piano di assunzioni. Né può essere oggetto di ritardo ulteriore la soluzione ragionevole del lavoro precario, storicamente una delle piaghe maggiori della nostra istruzione, a tutti i livelli, mettendo fine al più presto a quella che viene definita con felice espressione "supplentite", e che il recente processo di stabilizzazione del governo non ha smantellato. Si pretende di affidare ulteriori responsabilità ai dirigenti scolastici riducendo organici e salari. Il sistema di valutazione proposto nega partecipazione e condivisione, non definisce criteri trasparenti e valutatori realmente indipendenti e competenti. Il vero obiettivo è quello di scaricare sui dirigenti tutte le criticità delle singole autonomie scolastiche.

A proposito degli effetti della legge 107 del 2015, abbiamo più volte lanciato un allarme su almeno quattro punti critici, oggetto di quattro mirati quesiti referendari sui quali stiamo raccogliendo le firme, come Flc Cgil. Si tratta dell'allargamento notevole dei poteri concessi ai dirigenti scolastici, costretti però a trasformarsi in amministratori delegati, la cui occupazione prevalente è il bilancio dell'istituto; della cosiddetta alternanza scuola-lavoro, le cui dinamiche legislative sono sbagliate e controproducenti, per gli studenti e per le scuole; dei bonus concessi alle famiglie che mandano i figli alle scuole private; e infine della formazione dei comitati di valutazione, vere e proprie trappole che non premiano il merito didattico o formativo, e che hanno come fine una retribuzione non sindacalizzata né contrattualizzata.

Lo sciopero del 20 maggio solleva l'allarme sulle retribuzioni del personale della scuola. Come dimostra un grafico pubblicato dal quotidiano Il Messaggero lunedì 16 maggio, tra i comparti della Pubblica Amministrazione, il personale della scuola è penultimo in materia di retribuzioni medie annuali, e supera di poco i lavoratori degli Enti locali. C'è un enorme problema retributivo nella scuola italiana (evito di fare raffronti con le retribuzioni in Europa, perché si aggiungerebbe dramma a dramma), che confligge notevolmente con i peana e le lodi lanciati pubblicamente e quotidianamente dal premier Renzi e dalla ministra Giannini sul ruolo centrale e decisivo della scuola, dei docenti, dei dirigenti, del personale, nella società contemporanea. Così come vi è un enorme problema di investimenti pubblici verso la scuola e verso l'università e la ricerca, anch'esse colpite da anni di tagli indiscriminati e insensati.

Insomma, a fondamento dello sciopero del 20 maggio, e lo possiamo dire con forza, vi sono le ragioni per il rilancio strutturale, concreto, razionale della scuola, dell'università, e della ricerca pubbliche, per raggiungere con pienezza il diritto universale allo studio, sancito dalla Costituzione, per affermare la libertà dell'arte e della scienza, e del loro insegnamento, per garantire a tutto il personale dignità, libertà, valorizzazione professionale e quel prestigio sociale, oltre alla gratitudine, che merita, da parte dell'intera società.