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Per un primo bilancio dell’ASN

l rischio è che tutto ciò si risolva nell’ennesima delegittimazione del sistema dell’università e della ricerca italiana, che servirà per giustificare all’opinione pubblica ulteriori tagli, mancati finanziamenti, ridimensionamento del sistema.

15/04/2014
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ROARS

1. Premessa: dalla “meritocrazia” alla catastrofe (annunciata)

Dopo anni e anni di invettive sulla corruttela dell’accademia italiana, l’introduzione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale fu salutata da un coro di giubilo. Finalmente una valutazione centralizzata, operata da commissioni sorteggiate avrebbe potuto spezzare le catene del nepotismo, familiare e accademico, lasciando spazio al merito. Ancor meglio, gli estensori del D.M. 76/2012 (noto universalmente come “criteri e parametri”) introdussero il requisito delle mediane. Bisognava togliere di mezzo quel 50% dei docenti e dei ricercatori italiani che se non proprio fannulloni, erano di certo poco attivi. Si obiettò, allora, anche da queste pagine, sull’assurdità del criterio della mediana: non solo perché costruito sulla base di preconcetti ideologici non confermati dai fatti, ma perché produceva conseguenze paradossali, poneva problemi di calcolo degli indicatori pressoché insormontabili e incentivava comportamenti opportunistici. Niente da fare, il meccanismo doveva procedere, anche perché un’orda di candidati, certi di possedere i requisiti quantitativi, si sentiva già l’abilitazione in tasca.

Poi le abilitazioni si sono svolte in un crescendo di difficoltà: sospetti sullo svolgimento dei sorteggi, mancati agganci, commissari dimissionari, privi dei requisiti o dediti al salami slicing, commissioni nelle quali talora mancavano del tutto commissari appartenenti a settori disciplinari che erano chiamati a giudicare e così via. È bastato aggiungere gli inevitabili errori materiali, perché si avverasse il risultato profetizzato: una moltiplicazione del contenzioso e una figuraccia del sistema universitario davanti all’opinione pubblica.

Qualche voce continua a difendere il formidabile strumento meritocratico, ma sulla stampa si è assistito al ritorno di fiamma degli stereotipi: gli accademici italiani sono baroni, nepotisti, dediti a pratiche eticamente censurabili, se non proprio illecite. In questo clima alquanto deprimente, sui giornali sono fiorite le lamentazioni per supposti casi di nepotismo, di abilitati “figli di” o “parenti di”. Lamentazioni per lo più indimostrate, mentre ci si ostina pervicacemente a ignorare i difetti strutturali della macchina costruita a seguito della l. 240/2010.

Nel frattempo, le falangi di entusiasti sostenitori dell’abilitazione (talvolta fiduciosi in un’agevole abilitazione seguita da concorsi locali più o meno scontati) si sono rapidamente assottigliate, per lasciar spazio ad un coro che mescola recriminazioni strumentali a doglianze del tutto legittime.

Il rischio è che tutto ciò si risolva nell’ennesima delegittimazione del sistema dell’università e della ricerca italiana, che servirà per giustificare all’opinione pubblica ulteriori tagli, mancati finanziamenti, ridimensionamento del sistema.

Ora, è evidente che all’interno di una procedura di dimensioni così ampie, con decine di migliaia di candidati, si saranno certamente verificati casi moralmente discutibili; casi, sia detto una volta per tutte,  dei quali dovrebbero occuparsi in primo luogo le comunità disciplinari e tutti i loro componenti e, ove necessario, il tribunale amministrativo.

Il punto tuttavia, non è questo: il punto è che la procedura è stata disegnata male ab origine, come su Roars era stato detto e ridetto fino alla nausea. Vediamo di ricapitolare perché.

2. I principali aspetti critici dell’ASN

Nell’attuale quadro normativo e regolamentare, alcune commissioni si trovano a giudicare valanghe di candidati (anche più di 500) e questo rende poco credibili i giudizi sul merito scientifico di migliaia di articoli e centinaia di monografie, che non è materialmente possibile leggere nei tempi stabiliti.

Anche l’uso di indicatori quantitativi ha contribuito al caos. Nelle scienze umane e sociali, contare pubblicazioni e monografie mette nello stesso sacco materiale della più diversa qualità: riviste “scientifiche” selezionate in modo approssimativo (basti ricordare il caso di Suinicultura) e generi letterari incomparabili fra loro (saggi, note a sentenza, cronache, curatele, ecc.).

Nelle scienze dure, il numero delle citazioni è scaricato da database commerciali che non costruiti per farne uso a scopi amministrativi, con il risultato che le statistiche sulle citazioni sono spesso incomplete o erronee e, ancor peggio, soggette a continue revisioni tutto l’anno. Revisioni che riguardano, naturalmente, anche le statistiche degli anni precedenti.

Non si contano i casi di commissioni che, a lavori conclusi, sono state costrette a riaprirli perché avevano giudicato i candidati sulla base di informazioni citazionali che andavano corrette con lo scorrere del tempo. I candidati non avevano potuto vedere i loro indicatori quantitativi, visibili solo ai commissari. Adesso che gli indicatori vengono pubblicati insieme con gli esiti, diversi candidati scoprono di essere stati giudicati sulla base di numeri non corretti: un facile motivo di ricorso, come si può intuire.

L’uso di indicatori quantitativi era stato motivato dall’intenzione di ridurre la discrezionalità dei commissari, soprattutto alla luce di scandali più o meno recenti. Ciò è stato fatto ignorando le raccomandazioni delle più importanti organizzazioni scientifiche internazionali che escludono la possibilità di emettere giudizi automatici sui ricercatori sulla base del numero degli articoli, delle citazioni ricevute e dell’impact factor delle riviste in cui si è pubblicato (link, link, link).

Deve essere chiaro che i dati bibliometrici (numero di articoli/libri e sedi di pubblicazione) e citazionali (citazioni ricevute) costituiscono informazioni utili, che devono però essere soppesate ed interpretate da un giudice umano. Per esempio, c’è da capire se le citazioni sono per lo più autocitazioni, se il numero dei coautori è grande o piccolo, se gli articoli sono leggere varianti della stessa idea ripetuta all’infinito, se il candidato è l’autore più importante oppure un coautore tra tanti che ha contribuito marginalmente, e così via. Per queste ragioni, una buona parte delle commissioni ha formulato i criteri di giudizio in modo da riservarsi la possibilità di promuovere anche candidati i cui indicatori non raggiungevano le soglie prescritte.

E’ accaduto così che alcune commissioni hanno richiesto in modo tassativo il superamento delle soglie numeriche (le “mediane”) ed altre no. Le prime sono esposte al rischio di ricorsi se qualcuno dei candidati bocciati in modo automatico si accorgerà che, una volta corretti gli indicatori  si trova a superare le fatidiche soglie. Le seconde potrebbero trovarsi ad aver abilitato candidati che superavano 0-1-2-3 mediane come pure ad aver bocciato persino candidati che ne superavano 3 su 3 (i parametri richiesti prevedevano il superamento di 2 mediane per le scienze dure e di 1 mediana per le scienze umane e sociali). Nel primo caso, potrebbe trattarsi di candidati con una lunga età accademica che, a dispetto di contributi scientifici solidi e noti nella comunità, sono stati penalizzati dal fatto che alcuni degli indici sfavoriscono i candidati “anziani”. Per esempio, le citazioni vengono divise per l’età accademica (il numero di anni trascorso dalla pubblicazione dei primo lavoro scientifico). Chi avesse 35 anni di età accademica potrebbe faticare a superare questa soglia anche perché il volume di citazioni di qualche decennio fa era parecchio inferiore a quello attuale.

È successo anche che siano stati bocciati candidati che superavano 2 o 3 mediane, e questo potrebbe destare scandalo.

Senza escludere la presenza di giudizi delle commissioni del tutto opinabili, bisogna tener conto che gli indicatori quantitativi ignorano del tutto il contenuto dei lavori. Se ho pubblicato e sono stato citato molto nel settore dell’ingegneria civile, risulto aver superato le mediane anche nell’ingegneria elettronica. Tuttavia, la commissione di ingegneria elettronica, con ogni probabilità, non mi concederà l’abilitazione ritenendo le mie pubblicazioni ed il mio curriculum “non pertinenti”. Questo è un punto particolarmente spinoso, perché se alcune distinzioni sono chiare, altre risultano molto più sfumate. Alcuni settori concorsuali riguardano discipline molto vicine tra di loro la cui distinzione può non essere banale oppure vi possono essere candidati la cui attività scientifica si muove a cavallo di due o più discipline

Pertanto, dire che la produzione scientifica di un candidato è “fuori tema” può essere allo stesso tempo un modo comodo per sbarazzarsi di un concorrente di una scuola “nemica” oppure una constatazione del tutto ovvia.

La ASN ha messo drammaticamente in luce come il sistema dei settori concorsuali e dei settori disciplinari non sia adeguato a reggere la complessità della procedura.

In mezzo a giudizi discutibili, ci sono anche molti errori materiali, alcuni clamorosi. Come mai? Quando viene espletato un concorso di norma i verbali vengono controllati dal “responsabile del procedimento” che non è un professore ma fa parte del personale tecnico-amministrativo. Se il verbale è incompleto oppure mal formulato lo si corregge prima di pubblicarlo.

In queste abilitazioni, i giudizi non erano visibili ai responsabili del procedimento. Alcuni commissari si sono dimostrati alquanto o del tutto sprovveduti dal punto di vista amministrativo. Così sono stati commessi molti pasticci, più o meno gravi.

E’ anche accaduto che il copia e incolla (la procedura era essenzialmente elettronica) abbia comportato l’assegnazione ad un candidato del giudizio che era destinato ad un altro. Questo spiega il larghissimo ricorso alle istanze di autotutela. A giudizi già pubblicati, moltissime commissioni hanno presentato istanza per riaprire i lavori, anche limitatamente ai candidati nei cui confronti si sono consumati errori materiali.

Il MIUR si è reso conto troppo tardi della mole di errori ed i suoi uffici sono rimasti ingolfati nelle procedure di verifica dei verbali/giudizi e nell’approvazione delle autotutele. In tal modo, i risultati sono usciti con il contagocce.

3. Che giudizio dare?

E’ difficile dare un giudizio univoco su queste abilitazioni. Si stanno scontando le conseguenze di alcuni errori normativi, cui va ricondotto almeno in parte il caos e i ritardi che si sono creati. Un serie di situazioni sono quanto meno incresciose, se non peggio. Tuttavia, dopo la riforma Gelmini questo era il passaggio obbligato per far ripartire il reclutamento standard, bloccato da almeno quattro anni se non di più. Lo scopo dell’ASN era quello di impedire l’accesso ai concorsi veri e propri a chi non aveva un livello più che accettabile di preparazione scientifica.

C’era il timore che la procedura si risolvesse in un “todos caballeros”, ma l’impressione generale è che le cose siano andate diversamente. Alcune commissioni hanno ecceduto nella direzione opposta, vuoi per severità (il che potrebbe rientrare entro legittimi margini di discrezionalità) vuoi per fare terra bruciata alla concorrenza accademica (e questo sarebbe senza dubbio degno di censura).

Nei futuri concorsi banditi dagli atenei, potranno presentarsi solo gli abilitati (oltre a i pochi titolari delle vecchie idoneità). Non per questo spariranno i problemi. Anche tra gli abilitati, ci sono differenze di valore e potrà capitare che una commissione spinga un candidato “amico” a danno di un altro candidato più robusto. Comunque vada, pare certo che le scarse risorse disponibili  consentiranno di assumere/promuovere solo una frazione degli abilitati.

L’esperienza insegna che non esistono bacchette magiche per ottenere il concorso perfetto. Solo un’etica condivisa può prevenire le malversazioni. Da questo punto di vista, aver messo tutto “in piazza” (CV dei commissari, dei candidati e giudizi delle commissioni sono leggibili da chiunque e facilmente accessibili) consente a chicchessia di farsi un’idea sulla correttezza o meno dello svolgimento delle procedure sulla base di informazioni di prima mano.

Gli spazi che abbiamo messo a disposizione su Roars hanno ospitato critiche e dibattiti – anche severi – nei confronti delle commissioni. Vedere i commissari criticati in uno spazio pubblico (invece che nei corridoi o davanti alle macchinette del caffè) è un fatto che può avere dei risvolti positivi: speriamo che anche questo ci aiuti a diventare un paese normale, prima o poi.

Nel frattempo, il TAR lavorerà a pieno ritmo sui casi più scandalosi così come su altri più o meno pretestuosi. Solo al termine del contenzioso si potrà fare un bilancio chiaro e completo della prima tornata ASN.

Si poteva fare di meglio, questo è certo.

4. Che fare?

Osserviamo intanto come il Ministro Giannini, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Ateneo di Padova, abbia suggerito la possibilità di una riapertura della tornata 2013, annunciando al contempo uno stop alle successive tornate di abilitazione, in vista di correttivi. Fortunatamente l’idea di riaprire i termini per la tornata 2013, che avrebbe provocato un caotico “assalto alla diligenza” da parte di soggetti ancora una volta posti di fronte a uno scenario da “ultima spiaggia”, pare tramontata.

Più condivisibile l’idea di procedere a interventi correttivi e in particolare alleggerimenti di una procedura tanto mastodontica e mal progettata da faticare a sostenersi sulle proprie gambe.

Qui però si impone un caveat: impossibile intervenire chirurgicamente in profondità senza operare a livello legislativo, e questo richiede inevitabilmente molto tempo. Molto tempo richiederebbe anche il solo intervento sulla parte attuativa della l.240/2010 (si pensi ad es. al DM cosiddetto “criteri e parametri”). Si tratta di tempi quantificabili in mesi o anni, che si allungherebbero ulteriormente se si volesse stravolgere completamente il sistema di reclutamento messo in piedi dalla 240/2010.

Intanto, vi sono già molte migliaia di abilitati e altri arriveranno alla fine della tornata 2013. Sarebbe però sbagliato cullarsi nell’illusione che si possa prendere tempo, interrompendo le procedure funzionali al reclutamento per anni in attesa di prosciugare il bacino che si è creato.

Infatti, con l’abolizione dei ricercatori a tempo determinato, si è interrotto qualsiasi canale di accesso stabile alla docenza e alla ricerca universitaria che non passi attraverso l’abilitazione. I ricercatori a tempo determinato di tipo B (quelli con la “tenure track” all’italiana) durano 3 anni e necessitano di essere abilitati per potersi stabilizzare. Diversamente, usciranno dai ruoli. Se dunque il sistema di reclutamento dovesse rimanere congelato nell’attuale situazione, in attesa di riforme destinate a concludersi in tempi troppo lunghi, si bloccherebbe l’accesso alla ricerca dei giovani, mettendo inoltre su un binario morto i ricercatori di tipo B, il cui contratto, una volta scaduto, non è ulteriormente rinnovabile. Il sistema rende sempre meno appetibile per un giovane la carriera da ricercatore. Tanto più che in questa situazione gli atenei saranno spinti a reclutare come ricercatori di tipo B solo soggetti già in possesso dell’abilitazione.

Il sistema va corretto, poiché si è dimostrato insostenibile. Data l’urgenza, occorre avviare subito una riflessione in merito, senza alcun indugio.

Essendo da sempre stati critici delle procedure ASN, non ci sorprende l’emergere di quelle falle che avevamo diagnosticato con largo anticipo. Prenderemo le mosse da questa consapevolezza per sottoporre ai lettori e ai decisori politici ragioni e modalità di intervento mettendo a confronto le alternative sul tappeto.

Bisogna imparare una volta per tutte la lezione che ci viene dagli errori del passato, vicino e lontano, per costruire un sistema equo, stabile e robusto: ne va della ricerca e dell’università in questo Paese.


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