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Panino a scuola, Giannini: «Linee guida in arrivo. Non decidano i tribunali»

Gli insegnanti: «Pausa pranzo, momento educativo». A Torino uno su dieci vuole sfilarsi

15/10/2016
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Corriere della sera

Antonella De Gregorio

Il pasto caldo della mensa, la «schiscetta» da casa, il panino per le famiglie morose... Un menù indigesto, quello che circola nelle scuole in questi giorni, dopo la sentenza del tribunale di Torino che ha aperto la strada ai genitori che vogliono scegliere per i propri figli il pranzo al sacco, al posto di quello proposto dalla mensa scolastica.
Ma sul punto è intervenuto oggi il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini nel corso del suo intervento all’assemblea Anci a Bari: «Il panino può anche essere un diritto, come ha detto il giudice, ma è un atto individuale», ha affermato. Preannunciando, per la prossima settimana, un incontro al ministero con il neo presidente di Anci, Antonio Decaro e il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin «per fare delle linee guida che danno una chiara e omogenea indicazione alle scuole e ai servizi comunali». Non ci sta Giannini a lasciare ai tribunali la scelta su un elemento di questa importanza: «La mensa, la condivisione del cibo - ha detto - è un fondamentale momento di interazione. Se le mense costano poco e non sono di qualità allora un problema c’è».A Torino, intanto, nei giorni scorsi l’Asl ha frenato l’entusiasmo di chi si è dichiarato «libero dalla schiavitù della mensa»: la normativa attuale non permette il consumo di alimenti da casa nei refettori. Le ditte che hanno in gestione la refezione e che si occupano anche della pulizia dei locali, in molti casi non vogliono farsi carico di chi non usufruisce del servizio. Qualche genitore ha sollevato il timore di contaminazioni da cibi estranei non certificati («e la responsabilità poi sarebbe nostra», dicono dal gruppo Camst). C’è poi un tema di spazi (il riconoscimento dell’Asl non è scontato) e di sorveglianza di gruppi di bambini sparpagliati in locali diversi. Mentre i pedagogisti e gli insegnanti legati al tempo pieno, temono di veder smantellato un impianto tradizionale e citano il valore educativo del pasto insieme, che contribuisce anche a rendere più autonomi i bambini e ad abituarli ad accettare menù anche poco graditi.

Panino vietato

I dirigenti scolastici sono divisi tra chi ha già iniziato a lasciar consumare cibo portato da casa in locali di fortuna, e chi vieta l’ingresso a scuola dei pasti alternativi. Succede nelle scuole genovesi, per esempio. Con un corollario di rinunce e diffide da parte dei genitori. Mentre su Change.org è comparsa - e si è in breve tempo riempita di firme - la petizione pro-mense lanciata da un gruppo di genitori di Torino, siglato MensAperta e indirizzato a Miur e Comuni, che chiedono che «vengano ascoltati anche i genitori che vogliono continuare a mandare i loro figli a mensa e sono preoccupati della promiscuità dei pasti e dei costi nel caso cambiasse la situazione». «Anche noi vogliamo una mensa migliore e meno cara», scrivono. Preoccupati tra l’altro che il diminuire dell’utenza dei pasti potrebbe avere come conseguenza un calo della qualità dell’offerta, il che si presterebbe a tagli economici e di risorse.

Via dalla mensa

Tra chi si organizza per offrire comunque una soluzione transitoria alle famiglie e chi sposta il problema più in là - in attesa di indicazioni dei due ministeri interessati, Salute e Istruzione ai quali l’Anci ha chiesto indicazioni chiari da trasmettere alle scuole - aumentano quelli che si sfilano: nel capoluogo piemontese circa il 10% degli studenti non usa già più il refettorio.

Libertà di scelta

Dagli esponenti politici si moltiplicano le richieste al Miur perché prenda iniziative per consentire ai dirigenti di intervenire. In Lombardia, l’assessora alla scuola, Valentina Aprea, dopo aver convocato un tavolo di confronto sulle mense scolastiche, ha annunciato l’intenzione di portare la questione al tavolo Stato- Regioni per chiedere una modifica della legge nazionale a cui attualmente devono attenersi le scuole. «La Lombardia è sempre per la libertà di scelta», ha premesso l’assessore regionale al Bilancio Massimo Garavaglia - «per questo «portiamo la questione in conferenza Stato-Regioni già la prossima settimana» e «il governo avrà un’ottima occasione di trovare una soluzione con la legge di Stabilità». La modifica richiesta riguarda in particolare le regole di utilizzo degli spazi: «Non sarebbe giusto mettere in un angolino gli alunni che fanno una scelta diversa rispetto alla mensa scolastica», ha detto Garavaglia.

Linee guida

Il direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, Delia CampanelliA Torino, intanto, nei giorni scorsi l’Asl ha frenato l’entusiasmo di chi si è dichiarato «libero dalla schiavitù della mensa»: la normativa attuale non permette il consumo di alimenti da casa nei refettori. Le ditte che hanno in gestione la refezione e che si occupano anche della pulizia dei locali, in molti casi non vogliono farsi carico di chi non usufruisce del servizio. Qualche genitore ha sollevato il timore di contaminazioni da cibi estranei non certificati («e la responsabilità poi sarebbe nostra», dicono dal gruppo Camst). C’è poi un tema di spazi (il riconoscimento dell’Asl non è scontato) e di sorveglianza di gruppi di bambini sparpagliati in locali diversi. Mentre i pedagogisti e gli insegnanti legati al tempo pieno, temono di veder smantellato un impianto tradizionale e citano il valore educativo del pasto insieme, che contribuisce anche a rendere più autonomi i bambini e ad abituarli ad accettare menù anche poco graditi.