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«Ora scuole più autonome poi tocca all’università»

Intervista al Ministro Giannini

14/03/2015
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Il Messaggero

ROMA «Il prossimo anno la scuola italiana avrà il 10 per cento di insegnanti in più. Per la prima volta si trovano risorse aggiuntive da destinare esclusivamente ai premi per il merito. Si attribuisce una forte autonomia agli istituti e ai dirigenti scolastici, e si introduce il principio della trasparenza e della “accountability”, parola che in italiano potremmo tradurre con rendicontazione, una vera svolta per il nostro sistema dell’istruzione». Tutto questo per dire che la riforma approvata dal Consiglio dei ministri l’altroieri è «una grande svolta», usando di nuovo le parole del ministro Stefania Giannini.
C’è però chi si aspettava un cambiamento ancora più radicale. Sui premi di risultato, per esempio. Facendo due conti, con soli 200 milioni da distribuire al 5 per cento degli insegnanti, c’è il rischio che tutto di riduca a un’indennità da pochi spiccioli.
«Quei 200 milioni sono una cifra significativa, soprattutto se si pensa che la cifra è strutturale, ed è solo un punto di partenza. All’inizio si ipotizzava di usare le risorse degli scatti di anzianità; invece gli scatti di anzianità restano immutati, sono state trovate risorse aggiuntive solo per il merito, e mi permetto di far notare che questo è un grande passo in avanti, è la prima volta che accade nella scuola italiana. Peraltro questo testo ora passa al Parlamento non per essere solo sfogliato».
Nel senso che si può modificare?
«Certamente la nostra è un’ipotesi di legge che può essere emendata e migliorata».
Quando il Parlamento avrà approvato i vostri provvedimenti, che cosa le resterà da fare come ministro dell’Istruzione?
«Dovremo occuparci dell’università, che già aveva avuto una complessa riforma della sua architettura, ma che ha ancora bisogno di trovare slancio. Anche lì la parola magica è: autonomia».
In effetti lì l’autonomia c’è già.
«Sì, ma resta ancora una pesantezza burocratica, ci sono ampi margini di miglioramento. Non credo che la mia missione sarà finita dopo la riforma della scuola».
Con i vostri provvedimenti i presidi avranno più autonomia, più poteri, ma anche un ulteriore carico di responsabilità. Tutto questo non viene riconosciuto da un punto di vista economico.
«Certamente sì. È stato previsto un apposito fondo di 35 milioni di euro a regime dal 2016».
Lei e Renzi avete sottolineato che anche i presidi dovranno essere soggetti a valutazione e non sempre il loro incarico triennale deve essere rinnovato. Ma come funzionerà questa valutazione, chi avrà il potere di valutare i dirigenti?
«Questo è uno degli argomenti che troveranno ampio spazio nella delega, così come la valutazione dei docenti. Il preside è caricato di responsabilità enormi, e deve fare le sue scelte con trasparenza, comunicando all’esterno il perché delle sue scelte. Già questo è un forte strumento di valutazione da parte della comunità. Si dovrà tenere conto di un complesso di elementi: i dati delle prove Invalsi, il giudizio sulla reputazione della scuola, l’opinione delle famiglie».
Le scuole dovranno cercare altre fonti di finanziamento, compreso il 5 per mille devoluto dai contribuenti. Non c’è il rischio di penalizzare le zone più povere del paese? I quartieri e le regioni dove vivono famiglie con un reddito inferiore avranno scuole peggiori?
«Certo, il rischio c’è, e anche in quel caso si possono pensare dei correttivi».
Per esempio?
«Si potrebbe creare a un fondo perequativo dove mettere una parte delle risorse incassate con il 5 per mille. Va detto che già oggi, con i contributi cosiddetti volontari che le famiglie versano agli istituti, c’è una sperequazione tra scuole ricche e scuole povere».
Un’altra grande novità della vostra riforma sono gli sgravi fiscali per chi manda i figli alle scuole paritarie. Come mai avete deciso di escludere gli studenti dei licei?
«Perché è nelle superiori che si annidano alcuni casi di malcostume, e in attesa di riuscire a correggere e a sanare questa disfunzione abbiamo preferito tenerli fuori. Anche perché la stragrande maggioranza dell’offerta e della domanda di istruzione non statale riguarda le elementari, le scuole dell’infanzia e le medie».
Chi è interessato agli sgravi fiscali lamenta, anche in questo caso, l’esiguità della cifra.
«Il punto non è la cifra, ma il cambiamento culturale, il riconoscimento di un principio. Quel principio della libertà di scelta educativa che era stato introdotto dalla riforma Berlinguer e a cui non era mai stata data una reale attuazione».
Ma secondo lei qual è la cosa più importante della vostra riforma?
«I punti cardine sono l’autonomia degli istituti, il riconoscimento della dignità sociale degli insegnanti, e un terzo punto che viene molto trascurato. Voi giornalisti parlate tanto di cifre, ma a mio giudizio non si parla abbastanza di quello che dovrebbe essere il centro di ogni politica per l’istruzione: le competenze degli studenti, l’offerta formativa. Cambiare la scuola non consiste in un’aggiunta o una sottrazione di ore, non è una contabilità della conoscenza, ma è la proposta di obiettivi educativi. Parlare di educazione all’ambiente, educazione alla salute, significa creare cittadini consapevoli. Tutto quello che facciamo è mirato a questo».
Anche regalare 500 euro agli insegnanti per comprare libri e biglietti di teatro?
«Quello è un segnale molto importante che si dà ai docenti, che avranno un loro tesoretto personale per migliorare la qualità delle loro conoscenze, aggiornarle, autoformarle».

Pietro Piovani


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