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Open access, Open science. L’Italia, un paese in grave ritardo

L’open access non è entrato nella normale prassi dei nostri ricercatori, sono poco chiari i fondamentali riguardo ai modi e agli strumenti, e finanche i concetti di base, a partire dalla confusione assai comune che viene fatta tra archivi istituzionali e social network. E non ci sono, a differenza di quanto accade negli altri paesi europei, iniziative istituzionali di rilevo.

14/04/2017
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ROARS

Paola Galimberti

Quando si parla di Open Access o, cosa ancora più astrusa, di Open Science e delle politiche collegate, nel nostro paese ancora si tirano fuori pregiudizi quali la scarsa qualità delle pubblicazioni ad accesso aperto, i costi stratosferici della pubblicazione in open access, l’immoralità del pagare per pubblicare, l’attentato alla libertà accademica per cui un ricercatore non sarebbe più libero scegliere la propria sede di pubblicazione. L’open access non è entrato nella normale prassi dei nostri ricercatori, sono poco chiari i fondamentali riguardo ai modi e agli strumenti, e finanche i concetti di base, a partire dalla confusione assai comune che viene fatta tra archivi istituzionali e social network. E non ci sono, a differenza di quanto accade negli altri paesi europei, iniziative istituzionali di rilevo. Il rischio che la ricerca in Europa si muova a due velocità è alto. Ed allo stato attuale appare realistica la possibilità che fra i paesi più lenti resti solo l’Italia.

Quando si parla di Open Access o, cosa ancora più astrusa, di Open Science e delle politiche collegate, nel nostro paese ancora si tirano fuori pregiudizi quali la scarsa qualità delle pubblicazioni ad accesso aperto, i costi stratosferici della pubblicazione in open access, l’immoralità del pagare per pubblicare, l’attentato alla libertà accademica per cui un ricercatore non sarebbe più libero scegliere la propria sede di pubblicazione.

Retaggio del passato, ampiamente superato in quasi tutti i paesi d’Europa.

In Austria, dove il Ministero per la scienza, la ricerca e l’economia  ha avviato negli ultimi anni una serie di iniziative volte a sostenere l’Open Science, l’accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche, ai dati della ricerca, ai materiali didattici, a creare una rete di collaborazione fra università, Ministero e Centri di ricerca per lo sviluppo di piattaforme tecnologiche che possano supportare i ricercatori e le loro istituzioni https://www.openaire.eu/austria-opens-science-new-projects-in-2017

In Olanda, dove la Associazione delle Università Olandesi VSNU promuove e porta avanti la politica del Ministero https://www.openaccess.nl/en per la ricerca che si propone di arrivare al 100% delle pubblicazioni ad accesso aperto entro il 2024 https://vsnu.nl/more-impact-with-open-access/. Anche la Netherlands organisation for scientific research ha puntato sull’open science, sostenendo sia la green road che la gold road https://www.nwo.nl/en/policies/open+science

In UK, dove i Research Councils UK promuovono da anni la politica dell’accesso aperto ai dati e alle pubblicazioni scientifiche, con una serie di azioni  di sostegno che sono state implementate, verificate, analizzate e migliorate, https://www.rcuk.ac.uk/research/openaccess/ , alla luce di una serie di report sugli effetti di questa politica che punta anch’essa ad avere il 100% delle pubblicazioni ad accesso aperto. Per il REF stesso le pubblicazioni presentate devono essere disponibili in un archivio ad accesso aperto.

The core of the policy is that journal articles and conference proceedings must be available in an open-access form to be eligible for the next REF. In practice, this means that these outputs must be uploaded to an institutional or subject repository

Pregiudizi ampiamente superati anche dal Ministero tedesco per la  Ricerca e la formazione che ha fatto dell’accesso aperto una delle strategie portanti per l’educazione e la ricerca del Paese

Il Ministero Norvegese per l’educazione e la ricerca ha incaricato un gruppo di lavoro di produrre delle Linee guida nazionali per l’open access in Norvegia  come modalità di supporto della Norvegia alle politiche delle EU.

Perché certamente molte delle politiche fin qui descritte si riconnettono al forte sostegno che da anni la EU ha dato e sta dando all’open science, sia come modo per rendere più visibile e competitiva la ricerca europea, sia come strumento portante della Responsible Research and Innovation,. L’Europa ha creduto così tanto nelle potenzialità della scienza aperta che ha legato i finanziamenti del programma H2020 alla clausola della piena  disponibilità ad accesso aperto di pubblicazioni e dati esito dei finanziamenti ricevuti, e che ha creato un repository, OPEN AIRE che raccoglie dalle varie istituzioni le informazioni e i full text delle pubblicazioni e dei dati grezzi prodotti durante le ricerche che ha finanziato,  e ha predisposto anche un repository, Zenodo, per quei ricercatori che non sono affiliati ad alcuna istituzione o la cui istituzione non ha un archivio istituzionale.

E, ancora, sempre l’UE ha messo a punto l’Open Science Monitor, che propone una serie di indicatori per l’analisi e il monitoraggio delle attività di open science in Europa.

Potremmo continuare raccontare delle iniziative interessanti in Spagna,  Portogallo o Danimarca, ma in realtà il punto è un altro. L’Italia è un paese europeo con una ricerca di ottimo livello, ma il suo Ministero (che coincide anche con il suo principale finanziatore) sembra non aver considerato (e continuare non considerare)  in nessuna delle sue politiche l’accesso aperto, né sembra aver recepito nessuna delle indicazioni provenienti dall’Europa e così ben assimilate e tradotte in politiche negli altri paesi. Le uniche iniziative a favore dell’ accesso aperto sono state portate avanti dal basso, da un gruppo di lavoro della CRUI, di cui pochi conoscono l’esistenza e che si è occupato della stesura di linee guida per l’implementazione dell’accesso aperto negli atenei; dagli atenei in cui l’accesso aperto è entrato per la tenacia e la sensibilità di singoli o piccoli gruppi che hanno recepito le linee guida delle CRUI e sono riusciti a mantenere il contatto con l’Europa e con le sue politiche.

Recentemente si è formata l’Associazione Italiana per la Scienza Aperta (AISA), che raccoglie la maggior parte di coloro che si occupano di Scienza Aperta in Italia e che sta portando avanti una proposta di modifica della legge sul diritto d’autore, passo fondamentale per il riutilizzo delle proprie pubblicazioni. Quello che però manca totalmente è il sistema. Il grande assente è il MIUR. Anche la legge sull’accesso aperto, ampiamente disattesa e inapplicata, è stata promossa da un Ministero diverso dal MIUR e si esaurisce in un comma (il comma 4) di una legge più articolata, recante Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo (L 112 7 ottobre 2013), nel cui titolo il sintagma “ricerca scientifica” non compare.

Allora viene da chiedersi, ma di tutto questo movimento europeo e nei singoli stati membri in Italia non arriva neppure un’eco lontana o siamo noi che siamo sordi?

Quando si leggono alcuni articoli su blog o giornali risulta molto chiaro che la strada verso una politica di sistema è ancora lunghissima, che l’open access non è entrato nella normale prassi dei nostri ricercatori, che i pregiudizi sono molto radicati, i concetti sono confusi, a partire dalla confusione fra archivi istituzionali e social network, così come poco chiari sono i fondamentali riguardo ai modi e agli strumenti.

E, mentre continuiamo a dibatterci nei pregiudizi, il rischio che la ricerca in Europa si muova a due velocità è alto, come appare realistica, allo stato attuale,  la possibilità che fra i paesi più lenti resti solo l’Italia.


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