FLC CGIL
Contratto Istruzione e ricerca, filo diretto

https://www.flcgil.it/@3943001
Home » Rassegna stampa » Rassegna stampa nazionale » Ocse: in Italia pochi laureati, poco preparati e «bistrattati»

Ocse: in Italia pochi laureati, poco preparati e «bistrattati»

Sotto la media di 10 punti. Gli italiani sono gli unici nei Paesi G7 con laureati relegati in lavori di routine. Divari tra gli studenti: al Sud un anno indietro

06/10/2017
Decrease text size Increase text size
Corriere della sera

Antonella De Gregorio

È un quadro preoccupante quello che dipinge l’ultimo rapporto Ocse che si occupa (anche) di istruzione. «Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%», si legge nello studio intitolato «Strategia per le competenze» presentato oggi al ministero del Tesoro. Tredici milioni di adulti hanno competenze «di basso livello», ha detto il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurria, presentando il rapporto. Dove si sottolinea, una volta di più, un vizio già evidenziato in passato: «Gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze» in lettura e matematica(26esimo posto su 29 paesi Ocse)». Ma non basta: i «dottori» che ci sono non vengono utilizzati al meglio, anzi risultano «un po’ bistrattati». Siamo «l’unico Paese del G7» in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è più alta di quella che fa capo ad attività non di routine. Anche per questo la produttività, «che per un ventennio ha avuto in Italia un andamento stagnante, permane a livelli non soddisfacenti», conclude l’Organizzazione.

Bassa domanda di competenze

Le competenze non risultano in linea con la mansione: fenomeno noto, in inglese, come «skills mismatch». I lavoratori con competenze in eccesso (11,7%) e sovra-qualificati (18%) rappresentano una parte sostanziale della forza lavoro italiana, maggiore di quella che, invece, si trova sotto il livello richiesto (il 6% risulta avere competenze basse rispetto al lavoro che fa e il 21 è sotto qualificato). Al paradosso si aggiunge la constatazione che «circa il 35% dei lavoratori è occupato in un settore non correlato ai propri studi». Quindi, in più di un caso su tre, percorsi d’istruzione e professionali non si parlano. E il basso livello di competenze fa sì che «il Paese incontri maggiori difficoltà degli altri nel far fronte alla globalizzazione, alla digitalizzazione e all’invecchiamento della popolazione».

Studenti del Sud un anno indietro

E, come se non bastasse, si sono scavati abissi nelle performance scolastiche: il divario ai risultati del test PISA (Program for International Student Assessment, un sistema per accertare le competenze dei quindicenni scolarizzati, ndr) tra gli studenti della Provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico.

Donne sottoccupate

Pessima anche la condizione femminile: le donne scelgono spesso specializzazioni universitarie che «non sono molto richieste dal mercato del lavoro e che rendono loro difficile trovare un’occupazione dopo la laurea». E per tasso di occupazione femminile, l’Italia è al quartultimo posto nell’area dei 35 stati industrializzati. «Il dato preoccupante - si legge - è che molte donne non sono neanche alla ricerca di un posto di lavoro». Di più: le donne sono spesso percepite «come le principali assistenti familiari». Occorre invece favorire «un’organizzazione flessibile del lavoro, l’accesso ai servizi dell’infanzia a costi più contenuto, in modo da conciliare vita e lavoro» a vantaggio delle donne ma non solo. E per Gurria bisogna puntare sugli asili nido, che portano «benefici anche nelle capacità di apprendimento» dei ragazzi.

«Bassa domanda di talenti»

Bloccata in un «equilibrio di basse competenze», l’Italia; con, da una parte «offerta insufficiente», dall’altra una «fiacca domanda» che viene dal mercato, dalle imprese, ha commentato Gurria. Insomma, il Paese è come in un morsa e non promuove i «talenti». Uno «stallo» da cui il Governo sta cercando di uscire con piani come «Industria 4.0». Una riforma che l’organismo internazionale ha dimostrato di apprezzare, insieme alle altre introdotte dagli ultimi governi nel mercato del lavoro (2014, Jobs Act), nel sistema dell’istruzione (2015, La Buona Scuola) e dell’innovazione (2015, Piano Nazionale Scuola Digitale). Nel complesso, è il giudizio, «vanno nella direzione giusta»; ma «occorre andare avanti riguardo alla loro implementazione». Tra i suggerimenti dell’Ocse c’è anche l’invito a «spingere sull’alternanza scuola-lavoro, aumentare gli incentivi all’apprendistato, migliorare i livelli degli istituti tecnici superiori e i percorsi di istruzione professionale». E ad esporre i giovani italiani a servizi di orientamento che li aiutino a scegliere nella vasta gamma di possibili percorsi di formazione e carriera.

Le riforme

«La riforma del sistema educativo, l’accumulazione del capitale umano, è la strategia di gran lunga più efficace nel lungo termine per far crescere benessere, ricchezza e prodotto». Così il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Che ha aggiunto: «Bisogna migliorare la qualità dell’insegnamento nel Paese e ridurre il divario esistente tra le diverse regioni», magari premiando i prof che restano dove ci sono più difficoltà».