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Nove regioni riaprono le scuole superiori in ordine sparso e al 50%

Lezioni in presenza in Campania forse dal 25 (per le altre riaperture graduali dall'11), Veneto, Friuli, Marche il 31. Fabio Ciciliano (Cts): "Il problema non è riaprire le scuole ma cercare di tenerle aperte. Richiuderle tra 2 settimane sarebbe la testimonianza che i numeri riaumentano". Sul sito de Il manifesto continua la protesta dei docenti dei licei romani contro la gestione del rientro. Giovedì 7 gennaio «Priorità alla scuola» torna manifestare davanti agli istituti.

05/01/2021
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il manifesto

Roberto Ciccarelli

A 48 ore dalla riapertura delle scuole superiori al 50% gli studenti di Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche e Campania sanno già che torneranno, forse, in classe rispettivamente il 31 gennaio nelle regioni del Centro-Nord e il 25 in quella del Sud (le altre inizieranno gradualmente dall’11). Ieri il presidente della regione Puglia Emiliano ha detto di aspettare il consiglio dei ministri che si è svolto ieri sera in serata per rinviare il rientro. Alle famiglie potrebbe essere affidata la decisione se mandare a scuola i figli o meno. La scuola à la carte.

LE REGIONI che potrebbero modificare la scadenza imposta dal governo con il Dpcm del 23 dicembre sono nove: oltre a quelle citate Lombardia, Trentino, Sardegna, Calabria, Umbria amministrate dal centro-destra. Come il veneto Zaia, o i «democratici» De Luca e Emiliano, anche gli altri presidenti delle regioni tengono a escludere motivazioni «politiche» e evocano l’andamento dei contagi. Nei fatti si riferiscono ai problemi organizzativi legati ai trasporti rivisti dai prefetti senza avere trovato un sufficiente consenso omogeneo delle comunità scolastiche e, soprattutto, al sistema di tracciamento nelle scuole. Lo scontro, tuttavia, è politico perché politica è la gestione dell’emergenza pandemica. E lo è anche perché il governo non ha avocato la gestione emergenziale delle scuole, ipotesi riconosciuta dalla legge costituzionale riformata.

IN QUESTE TORSIONI tecnico-politiche il diritto all’istruzione in Italia si sta spezzando, in particolare nelle scuole superiori. Ieri si è vista la replica dello scontro tra i Cinque Stelle, schierati a coorte per difendere il presidente del Consiglio Conte e la ministra dell’Istruzione Azzolina – che vogliono il rientro del 7 al 50% con orario ridotto a 45/50 minuti – contro le due regioni del Pd e del centro-destra che invece fanno valere la loro autonomia differenziata in materia di politica scolastica. Un’autonomia che il governo ha riconosciuto quando ha concesso alle regioni la possibilità di emettere ordinanze restrittive. Eventualità che si ripresenterà anche in questo caso. Il «coordinamento» evocato da Azzolina nelle ultime settimane, com’era prevedibile, non sta funzionando. È un’altra sconfitta dopo l’arretramento dal 75% stabilito dal Dpcm del 3 dicembre all’attuale 50%. All’interno del governo c’è anche il fronte «prudenziale» composto da LeU-Pd: il ministro della Sanità Speranza e quello degli affari regionali Boccia che si mostrano più consapevoli dei limiti della gestione pandemica anche se hanno dovuto concedere la riapertura al 50%.

AL DI LÀ di queste schermaglie, il clima sta cambiando per il governo. Esemplare a questo proposito è l’impressionante protesta dei docenti dei licei romani contro le decisioni del prefetto e dell’ufficio scolastico regionale. Sul sito del Manifesto sono un migliaio le firme alle «mozioni pubbliche» scritte da molti istituti della Capitale che chiedono di non riaprire il 7 perché non è stato approntato un sistema di prevenzione a tutela degli studenti e dei docenti rispettoso delle esigenze della didattica. La protesta è contro la «demagogia» e la «propaganda» del governo che sostiene di volere aprire le scuole, ma che non ha pensato di parlare con chi la scuola la fa. Evocare i risultati del monitoraggio fatto dall’Istituto Superiore di Sanità sui pochi contagi nelle scuole tuttavia non sembra essere più sufficiente per allontanare la quasi certezza che la politica istituzionale non ha fatto il necessario per aumentare la capacità di monitoraggio. Contro l’incapacità del governo di tenere aperte le scuole il movimento dei genitori, docenti e studenti «Priorità alla scuola» manifesterà il 7 davanti agli istituti.

IL PROBLEMA è la difficoltà di riuscire a conciliare il diritto allo studio con quello alla salute in una pandemia. Il governo non sembra per ora in grado di rispondere alla questione posta ieri dal segretario del Comitato tecnico scientifico Fabio Ciciliano: «La cosa più importante non è tanto riaprire le scuole ma cercare di tenerle aperte. Doverle richiudere tra due settimane sarebbe la testimonianza provata del fatto che i numeri stanno riaumentando». Motivazioni che hanno portato ieri quasi tutti i sindacati a chiedere al governo di valutare i dati della zona rossa a singhiozzo natalizia prima di riaprire.


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