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Non fate del presepe una bandiera

di Michele Serra

01/12/2015
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la Repubblica

Quasi per imporre militarmente la ri-cristianizzazione di un territorio sconsacrato, ieri una scuola elementare di Rozzano (Milano) è stata meta di una chiassosa processione politica pro-presepe (bambinelli portati da bambinoni).

UNA RISPOSTA sguaiata e prepotente al problema — vero — di come conciliare tradizioni non solamente religiose, come quella natalizia, con la difficile convivenza tra culture.
Il dirigente scolastico sotto accusa, dimissionario, ha tenuto il punto con molta dignità, spiegando di non avere censurato niente e nessuno, ma solo respinto la proposta di un paio di madri che volevano, diciamo così, imporre la loro play-list confessionale. Dato per possibile e anzi per probabile il fraintendimento mediatico, rimane la delicatezza di una questione letteralmente minata dalla drammatica contingenza storica (una “guerra santa” che ormai gronda sangue) e aggravata dalle intolleranze, al plurale, che impediscono di ragionare e fanno perdere di vista anche le poche certezze.
Una certezza, per esempio, è che l’indiscutibile tradizione cristiana del nostro paese non deve essere rimossa, o snaturata, per non urtare suscettibilità troppo suscettibili. Peggio per i suscettibili. Guai ai suscettibili. Una seconda certezza, che non si oppone alla prima e anzi la rafforza, è che questa identità, se viene brandita come un’arma, non importa se di difesa o di offesa, diventa una imposizione escludente e detestabile, e non solamente in linea di principio, ma in linea pratica: perché esistono italiani cattolici, italiani musulmani, italiani ebrei e italiani atei (per non dire delle altre infinite variabili). E dunque è fondamentale, per una scuola pubblica degna di questo nome, non solamente sembrare ma addirittura essere “scuola di tutti”, inclusiva di ogni identità e di ogni cultura.
È difficile? Sì, è difficile. Ne sa qualcosa il dirigente scolastico di Rozzano, che sicuramente ha agito a fin di bene ma sollevando — come si è visto — un putiferio. Ma da questa difficoltà non è lecito uscire imbrogliando. Imbroglia chi la semplifica inalberando gesubambini, scoprendosi una vocazione devota fin qui non manifesta, come fa la Lega nata pagana e invecchiata vaticana: sbaglia gravemente, sbaglia nei fondamentali, perché riduce la scuola pubblica a un ring nel quale vince chi è più grosso e più grossolano. Specularmente sbaglia chi si illude che omettendo identità, celando le differenze, smussando ogni angolo, si possa favorire un processo di convivenza, forse di integrazione, che invece non può che fondarsi sulla chiarezza reciproca. È il tipico caso in cui le fazioni opposte si tengono bordone, perché la posizione di entrambe nega ogni margine alla convivenza: dire «io non canto le carole natalizie perché non voglio offenderti» oppure dire «io le canto proprio perché tu non le sopporti», è la stessa identica cosa. Entrambe le posizioni presumono, nell’”altro”, l’incapacità congenita di capire, di cambiare, di adeguarsi.
Eppure a Rozzano, davanti alla stessa scuola dove Salvini e La Russa si scoprivano supereroi della cristianità, genitori musulmani, in favore di telecamere, dichiaravano di non avere proprio niente contro il Natale. Che facciamo? Li dichiariamo sudboli agenti del jihad, opportunisti che si fingono concilianti per poi prenderci di sorpresa e attentare al bue e all’asinello? O li prendiamo in parola, proviamo ad approfittare della loro attenzione, facciamo la fatica di discutere il da farsi anche con loro piuttosto che ringalluzzire ognuno nel suo pregiudizio, nella sua piccola parrocchia, nella sua piccola identità cazzuta, ostile, spocchiosa?
La realtà delle cose, di giorno in giorno, è sempre più amara. È sfavorevole al ragionamento, al compromesso virtuoso, all’intelligenza dell’altro. Provate a dire «no al crocifisso nelle aule, sì a festeggiare Natale nelle scuole», e le opposte tifoserie avvamperanno d’ira. È una partita, questa, nella quale le curve si ingrossano e minacciano, piano piano, di mangiarsi tutto lo stadio. Il ragionamento è in minoranza. La laicità corrosa dalla tentazione di schierarsi, comunque, con il presepe o contro, con il catechismo o contro, con l’Italia cristiana o contro. Opinionisti sedicenti moderati si lasciano scappare, nei loro editoriali, una giustapposizione inesistente tra “cristiani/ musulmani” e “italiani/stranieri”, che è la peggiore lettura possibile della situazione, la più antistorica, la più inconsistente. Nella migliore delle ipotesi uno strafalcione, nella peggiore una truffa ideologica e un’istigazione all’odio. Uguale e contraria è l’illusione, puerile, fallimentare, di negare duemila anni di storia pur di non dirci cristiani, o comunque eredi della cristianità, e solo per questo (ovvero in virtù di una perdita di identità) più adatti all’accoglienza. Una cancellazione di connotati che minaccia di consegnarci senza volto a un appuntamento decisivo.
Gli uomini di buona volontà, o perlomeno di volontà non pessima, si trovano, in questo momento, stretti in una tenaglia. Per questo devono sentirsi duri come un sasso, non mollare mai, non cedere allo spirito nefasto della Guerra Santa. Minoranza gentile, ma non silenziosa, tra maggioranze urlanti, questo devono essere gli italiani non disponibili a nascondere Gesù Bambino e nemmeno a lanciarlo contro il nemico.