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Non chiediamo più soldi, ma tempi certi e regole chiare

Si stima che l’inefficienza del sistema costi all’Italia 400 milioni all’anno in termini di mancato accesso alle risorse europee

25/01/2016
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la Repubblica

Si discute molto di come la ricerca in Italia sia finanziata meno di quanto facciano gli altri Paesi avanzati. C’è invece poca attenzione su un altro aspetto: quanto sia frustrante per la comunità scientifica il fatto che questi investimenti, già scarsi, vengano spesso distribuiti in maniera poco ragionevole, riducendone ulteriormente l’efficacia. Molte delle inefficienze dipendono dal fatto che i canali per accedere a questi finanziamenti sono episodici (ed imprevedibili), piuttosto che avere frequenza annuale, e hanno regole sproporzionatamente complicate, con procedure di selezione che richiedono tempi lunghissimi.

Questa non è solo una mia impressione: sul sito del Miur (ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca) è in evidenza dal marzo del 2013 un’analisi dei problemi della comunità scientifica italiana, che condivide appieno queste mie posizioni. Purtroppo anche l’ultimo bando ha gli stessi problemi, compresa la scadenza slittata dal 22 dicembre al 15 gennaio 2016 anche se il bando si chiamava Prin 2015.

È interessante notare che nei Paesi nostri diretti competitori per la ricerca a livello europeo, ovvero l’Inghilterra, la Francia e la Germania, non c’è traccia di queste storture: le tipologie di finanziamento analoghe ai nostri Prin in questi Paesi hanno ben prevedibile scadenza annuale, una rapida tempistica di selezione dei progetti cui effettivamente assegnare i finanziamenti, e regole di partecipazione a queste procedure di selezione che non solo sono abbastanza stabili nel tempo, ma sono anche ben allineate alle regole con le quali si assegnano i fondi europei per la ricerca.

Questo aspetto della coerenza tra regole delle procedure di selezione per fondi nazionali e regole delle procedure di selezione per fondi europei è particolarmente importante: in Inghilterra, Francia e Germania la competizione per i fondi nazionali in un certo senso “allena” i ricercatori di quei Paesi a competere per i fondi europei. Alcune stime portano a pensare che questo costi al Paese circa 400 milioni di euro all’anno in fondi europei. Un danno enorme per la scienza italiana e un danno tangibile anche per l’economia complessiva del Paese: ogni anno quei 400 milioni dell’Europa, invece di essere spesi in Italia e contribuire al benessere del nostro Paese, vengono spesi altrove, arricchendo altri Paesi europei.

A complicare le procedure di valutazione dei progetti Prin c’è il fatto che, non essendoci una frequenza regolare di opportunità di finanziamento, ogni volta è consentito a tutti di presentare un progetto. Presentare un progetto non costa nulla e lo si può fare quasi come se si partecipasse ad una lotteria. Stavolta ci sono cinquemila progetti Prin da valutare. In ambito europeo viene offerta la disponibilità di finanziamenti annualmente, ma viene escluso dalle procedure di selezione chi ha presentato progetti valutati come molto deboli nella precedente tornata. Così si scoraggiano le proposte più improvvisate, alleggerendo e rendendo più razionale la fase di valutazione.

Non si tratterebbe di dare più soldi alla ricerca, si tratterebbe solo di fare le cose in modo razionale. Stessi soldi, sempre pochi, ma almeno buoni.

L’autore è docente di Gravità Quantistica a La Sapienza di Roma


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