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"Non cancellerete lo studio della storia"

L'appello lanciato su "Repubblica" da Andrea Camilleri, Andrea Giardina e Liliana Segre è al centro del festival organizzato da Laterza che si è aperto a Napoli. Studiosi di diverso orientamento da Canfora a Cardini, da Barbero a Cantarella aderiscono: la politica restituisca il valore civile alla disciplina

27/04/2019
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la Repubblica

Simonetta Fiori

NAPOLI

La storia a Napoli non devi andare a cercarla.

La storia ti invade da ogni parte, anche dalle volte secentesche dell’oratorio gesuitico che ospita il liceo Genovesi. «La storia è un bene comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di uguaglianza tra i cittadini...»: Alessandro Laterza legge il manifesto lanciato da Repubblica davanti a una platea di storici e insegnanti.

Ed è subito un applauso lungo, ostinato, quasi uno scatto di orgoglio civile nel riprendere il filo d’un discorso che in questi ultimi anni è andato smarrito. «Perché la storia non è una disciplina come un’altra, ma è esercizio di cittadinanza», dice l’editore che firma l’appello insieme al cugino Giuseppe Laterza. E allora bisogna mettere via dispute accademiche e piccole competizioni inutili per concentrarsi sui vuoti di memoria della contemporaneità.

Le cose non accadono mai per caso. Ed è significativa la coincidenza temporale tra l’appello di Repubblica e il primo festival di storia organizzato da Laterza a Napoli, con le sale del Madre e del Teatro Bellini affollate da persone che vogliono sapere dell’Italia araba o della "xenia" classica celebrata da Omero.

Perché il bisogno di storia è oggi enorme, la necessità di mappe e bussole per orientarsi nella complessità, ma paradossalmente è proprio la risposta delle istituzioni a essere inadeguata. «Le ore a scuola sono insufficienti», interviene la grecista Eva Cantarella che aderisce al manifesto insieme alla sua allieva Laura Pepe. «E certo l’abolizione del tema storico è stato un pessimo segnale. Mi piacerebbe che il ministro Bussetti parlasse di più non solo di storia ma anche di scuola pubblica: perché è da qui che si deve ripartire».

Bisogna ripartire dai banchi di scuola, dai luoghi dove si formano coscienza e conoscenza storica delle nuove generazioni. Firmano il manifesto presidi e insegnanti, da Maria Filippone al timone del liceo Genovesi a Maria Luisa Buono che dirige un liceo di frontiera dove non ci sono gli affreschi del Caracciolo, ma un altro genere di bellezza costruita pazientemente ogni giorno.

«La formazione non è stata mai la prima preoccupazione delle classi politiche al governo dell’Italia repubblicana», dice la contemporaneista Simona Colarizi. «Ma oggi con la cancellazione della storia stiamo toccando il fondo, anche perché non è una materia uguale alle altre, ma il punto di raccordo dei saperi umanistici».

Per gli storici di professione, l’appello firmato da Andrea Giardina con Liliana Segre e Andrea Camilleri è anche un’occasione di autocritica. «Il manifesto ci ricorda che la storia è un bene comune», dice Luigi Mascilli Migliorini, presidente della Società dei modernisti. «Ci dice in sostanza che occorre superare le vecchie contese tra noi accademici. Ma ora è necessaria anche una grande alleanza con chi fa divulgazione al di fuori della cittadella universitaria.

Perfino il Trono di spade può essere un alleato prezioso in questa battaglia di civiltà». Da una prospettiva diversa invita all’autocritica Andrea Graziosi, ex presidente dell’Anvur e contemporaneista con esperienza internazionale.

«Giustamente nell’appello è scritto che anche le distorsioni rivelano un bisogno di storia e nascono da curiosità e desideri di esplorazione che non trovano appagamento altrove. Ed è qui che ci dobbiamo chiedere: siamo stati capaci di soddisfare le nuove domande dei più giovani? Io credo che questa sfida si possa vincere solo cambiando modo di fare didattica e ricerca, e quindi anche spingendosi oltre l’orizzonte nazionale». E ben venga la buona divulgazione, aggiunge Graziosi, «ma essa si nutre delle ricerche storiche che non devono mai rinunciare a rigore e complessità».

Tra gli ospiti del festival di storia, sono tanti i medievisti che aderiscono all’iniziativa di Repubblica, da Franco Cardini ad Alessandro Barbero, da Amedeo Feniello a Giuseppina Muzzarelli. «Oggi c’è un’urgenza civile che ci invita a rivalutare la storia», dice Cardini. «In una società che non è più capace di essere valutativa, ossia non è più capace di definire dei valori, la storia assume una funzione civica irrinunciabile».

Conoscere la storia significa anche capire la gravità di certi gesti, come l’aggressione ai simboli della Resistenza ad opera dei gruppi neofascisti.

In occasione del 25 aprile Liliana Segre su questo giornale non si è limitata a lamentare l’ignoranza della storia da parte della classe politica. Si è anche chiesta se dalla diffusa ignoranza della storia la politica non tragga convenienza: il popolo ignaro non oppone resistenza. Ne è convinto Luciano Canfora, atteso oggi al festival di Napoli per una lezione sulla democrazia ateniese: «Vengo invitato in molte scuole per spiegare cosa è stato il fascismo. E i presidi lanciano un comune allarme: tra i banchi ci sono diciottenni che salutano con il braccio teso. La storia serve ad educare. E non è poco». Anche la sua firma sotto il manifesto.