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"Noi con scotch e vernice perché sia tutto pronto" Tra i maestri alla guerra della scuola post Covid

A Bolzano, dove la prima campanella suonerà lunedì

03/09/2020
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la Repubblica

dal nostro inviato

Giampaolo Visetti

BOLZANO — Chilometri di nastro adesivo giallo e nero sui pavimenti. Quintali di vernice rossa spray nei cortili. Nella prima scuola a riaprire le porte in Italia, i docenti di buona volontà oggi sono in ginocchio dentro le classi per segnare le distanze e «chiudere il cantiere Covid». Alle medie "Ilaria Alpi" di Bolzano, dopo sei mesi, la campanella delle lezioni torna a suonare lunedì mattina: solo l’ottimismo autorizza però a dire che «tutto è pronto» e che «andrà tutto bene».

Nello stesso istituto, ad esempio, tocca a maestre e professori prendere le misure, portare i nuovi banchi singoli nelle aule, posizionare le sedie. Se manca il metro di sicurezza, devono scegliere se stivare nel corridoio l’armadio, la cattedra o gli scaffali con i libri. «Abbiamo cominciato il 2 giugno — dice la preside Sabine Giunta — e devo dire grazie anche a un genitore- architetto che ha riprogettato gratis gli spazi. Il governo ha fatto il massimo per garantire a tutti l’istruzione: ma senza la disponibilità e la passione di insegnanti e famiglie, riaprire le scuole sarebbe stato impossibile».

Solo tornare in classe, per un Paese, è ricominciare davvero a vivere. L’Alto Adige anticipa di una settimana le altre regioni: i suoi 91 mila studenti, 8 mila docenti e 627 istituti si trasformano nel cruciale test nazionale della scuola segnata dalla pandemia. Non sarà semplice, è subito evidente, nemmeno nella mediterranea Scandinavia protetta da Dolomiti e autonomia speciale. «L’ultimo documento sulla valutazione dei rischi — dice Giunta — l’ho firmato due ore fa e non è detto sia definitivo».

Nelle sei scuole dell’Istituto comprensivo Bolzano 1, la circolare definisce il percorso ad ostacoli delle lezioni che riuniranno i 130 docenti con i loro 660 alunni, il 51% dei quali di nazionalità straniera. Ingressi scaglionati da tre varchi diversi, ogni dieci minuti tra le 7.30 e le 9.30. Mascherina obbligatoria e distanza di un metro in tutti gli spostamenti: il distanziamento raddoppia per le lezioni di canto, musica e ginnastica. Volto scoperto solo quando si è seduti al banco, ricreazione compresa.

Salgono a tre i turni della mensa, 135 sedie contate alla volta. «Nei corridoi e sulle scale — spiegano gli insegnanti — procederemo in fila indiana rispettando i due sensi di marcia: sulla carta può funzionare, poi vediamo come si comportano bambini e ragazzi». Tra le incognite, la sanificazione, l’accesso ai wc e l’aula dove isolare chi manifestasse i sintomi del contagio. «Compresi i custodi — dice la preside — abbiamo 12 bidelli. Per garantire igienizzazione, pulizia e sorveglianza previste dai protocolli nazionali, qui ne servono almeno altri quattro. L’ufficio Personale della Provincia ha risposto che i soldi per pagarli devo trovarli io: l’avrei trovato scandaloso anche in tempi di pace, figuriamoci oggi che siamo in guerra».

Davanti ai bagni, al secondo piano, è così una professoressa di matematica ad incollare sul pavimento i nastri che segnalano le postazioni dell’attesa pipì. Impossibile coordinare tra i docenti i permessi per gli imprevedib ili bisogni degli alunni. Sempre i prof passano il pomeriggio a dividersi le mascherine per il primo mese e a riempire i dispenser con il gel disinfettante. «La nostra scelta — dice Alessandra Duca, professoressa di italiano alle "Archimede" — è stata riportare tutti i ragazzi in classe, insieme e ogni giorno. È il passaggio decisivo: la didattica a distanza deve restare circoscritta all’emergenza. Agli studenti, per imparare, serve il contesto scolastico di relazione, quella mamma che genera attenzione e responsabilità. Per agevolarlo noi abbiamo acquistato le visiere trasparenti: i ragazzi devono vedere sempre la faccia dei professori».

A preoccupare, i trasporti e un possibile caso di positività a scuola. In Alto Adige i bus potranno riempirsi fino al 100%: l’appello anti- assembramenti del governatore Arno Kompatscher è «lasciare liberi i pullman negli orari scolastici». «Il problema — dice Daniele Masè, insegnante di lettere in comando alla Sovrintendenza — è che ingressi e uscite scaglionati occuperanno buona parte della giornata. Proprio in queste ore poi nelle scuole si stanno nominando gli esperti Covid e i loro vice: si aggiunge una responsabilità pesante a docenti già sotto stress».

Diversa la scelta della scuola di lingua tedesca, in Sudtirolo divisa rispetto a quella italiana e ladina. Qui, alle superiori, gli studenti alterneranno una settimana in classe e una a casa, come nei mesi dell’emergenza: molte le critiche delle famiglie, costrette ai salti mortali con gli orari di lavoro. «Possiamo anche trasformare le scuole in sale chirurgiche — dice Sabine Giunta — ma il nodo irrisolto rimangono le famiglie e il mondo che si apre all’esterno. In casa il virus può essere portato da chiunque, studenti e insegnanti si muovono ovunque. Negli istituti non si faranno tamponi, l’unica prevenzione resta la misurazione della temperatura all’ingresso: una formalità che non garantisce nessuno, come i test sierologici effettuati sui docenti». Ai primi di marzo, anche a Bolzano, si era convinti che causa Covid le scuole sarebbero rimaste chiuse "massimo per una settimana". Sei mesi dopo la speranza, fatto il primo appello, è che "dopo una settimana possano rimanere ancora aperte". Richiuderle, questa volta, sarebbe peggio di un bis del lockdown.


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