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Negativo Covid? Al Crea è il lavoratore a certificarlo

Una disposizione che va contro qualsiasi legge e regolamento, visto che al dipendente pubblico non è consentito di autocertificare neanche una cefalea. Golisano (FLC): l'ente cerca di evitare responsabilità in caso di contagio

12/05/2020
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Collettiva.it

Ricerca e rischio contagi: al Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria) è il lavoratore a dover certificare di “stare bene”. Una situazione grottesca, che va contro ogni legge e regolamento, compresa quella dell’ente stesso. Ma andiamo con ordine. Secondo la sedicente riforma Brunetta del 2009 ogni dipendente pubblico che abbia la necessità di assentarsi dal lavoro anche per un comune mal di testa deve rivolgersi al proprio medico che provvede all’invio di “idonea certificazione” all’amministrazione di appartenenza e all’Inps competente per la verifica dell’effettivo stato di malattia. Sono già passati più di dieci anni, era l’epoca poco gloriosa della caccia al “fannullone” e al “furbetto”, un mantra mai finito ma che in alcuni casi, e a seconda di convenienze incoffessabili, può subire aggiustamenti anche grotteschi. È quello che accade al Crea, 2.000 dipendenti sparsi in oltre 40 sedi nel paese.

Ebbene: quello che non vale per una cefalea, può valere per l’attuale emergenza sanitaria: “In presenza di una pandemia insidiosa e letale come l’emergenza Covid-19, caratterizzata da portatori asintomatici del virus, il Crea disciplina le modalità di rientro o assenza dal servizio presso la sede di assegnazione mediante una autocertificazione del dipendente”, ci racconta Giampiero Golisano, tecnologo e responsabile dell’istituto per la Flc Cgil.  Al dipendente, quello che teoricamente non potrebbe autodichiarare un raffreddore, si chiede invece di dichiarare “di non aver avuto sintomi febbrili nella giornata odierna e di aver accertato in data odierna di non aver superato la temperatura corporea di 37.5 gradi, misurata prima di recarsi al lavoro; che nei prossimi giorni verificherà la propria temperatura corporea ogni giorno prima di recarsi al lavoro e solo in assenza di sintomi influenzali e in assenza di temperatura superiore ai 37,5° si recherà al lavoro”.

Insomma, in questo caso, chiosa Golisano, non siamo più “fannulloni e furbetti sottoposti a pedissequa sorveglianza medica, ma sanitari esperti in sintomi febbrili e sintomi influenzali, capaci di eseguire una diagnosi differenziale (rispetto alla rinite allergica, all’influenza comune o ad uno stato infiammatorio acuto), autocertificando quotidianamente il proprio stato di salute”.  Tra le tante altre osservazioni che si possono fare c’è sicuramente, attacca il tecnologo del Crea, il fatto “che l’accertamento dell’idoneità allo svolgimento della prestazione lavorativa è una prerogativa che il datore di lavoro ha sempre mantenuto e mantiene saldamente riservata”. E allora, davanti a questa improvvisa elasticità rispetto a una disciplina del rapporto di lavoro nel settore pubblico molto restrittiva, emerge un dubbio: “Che l’orientamento favorevole all’autocertificazione per Covid-19 abbia semplicemente lo scopo di impedire la responsabilità del datore di lavoro per contagio e la conseguente tutela del dipendente per infortunio sul lavoro”, attacca Golisano.

Domani (13 maggio) i sindacati incontreranno i dirigente del Crea: “Dovremmo definire un protocollo di sicurezza specifico per l’ente; chiederemo che sia un testo razionale, così come è stato per altri enti come Cnr, Infn. Naturalmente ci opporremo con forza a questa assurdità dell’autocertificazione”, conclude il sindacalista.


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