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Molto alla previdenza e poco all'istruzione: In coda fra i paesi OCSE

L'Italia e gli altri

27/12/2019
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Il Messaggero

ROMA L'Italia che spende per il sistema previdenziale ha il braccino corto quando si tratta di investire sul futuro delle nuove generazioni. E sono i dati a dimostrare che il grido d'allarme del dimissionario ministro Lorenzo Fioramonti non è affatto campato per aria, soprattutto se si guarda alle cifre storiche. Un numero su tutti: nel mazzo delle nazioni più importanti del pianeta l'Italia, è in fondo alla classifica in fatto di spesa per istruzione in rapporto alla spesa pubblica complessiva, la quale a sua volta assorbe circa la metà del Pil. A questo comparto viene destinato appena il 6,9% all'interno di una graduatoria capeggiata, per dire, da Cile, Messico e Brasile. Insomma: il nostro Paese ha uscite complessive notevoli, ma destinate in modo rilevante ad altre voci. A settembre l'Ocse ha pubblicato Education at Glance 2019, il tradizionale rapporto sull'istruzione stilato daal'organizzazione che raduna i 35 paesi sviluppati e con economie di mercato del mondo. E la fotografia che emerge è davvero scadente.
LA QUOTAL'Italia dunque spende poco per l'istruzione, circa il 3,6% del suo Pil dalla scuola primaria all'università, una quota inferiore alla media Ocse che è del 5% e uno dei livelli più bassi di spesa tra i Paesi aderenti all'organismo internazionale. Di contro, come ricordato, le pensioni vanno fortissimo: spendiamo oltre il 16% in rapporto alla spesa pubblica totale, una fetta inferiore solo alla Grecia. In particolare, la spesa è diminuita del 9% tra il 2010 e il 2016 sia per la scuola che per l'università, più rapidamente rispetto al calo registrato nel numero di studenti. Ma il calo degli investimenti della scuola ha origini più lontane: tra il 1995 e il 2010 l'Ocse ha rilevato che l'Italia ha sostanzialmente congelato la spesa per studente di scuola primaria e secondaria (inferiore e superiore), con un aumento in termini reali dello 0,5%. Una sorta di spending review prolungata, amplificata dal progressivo invecchiamento del corpo docente: gli insegnanti italiani sono in media i più anziani dell'area Ocse, con il 59% di ultracinquantenni, anche se, grazie alle recenti assunzioni, questo rapporto è diminuito (dal 64% nel 2015 al 59% nel 2017) e che dovrà sostituire circa la metà dei prof entro i prossimi dieci anni, avendo la quota più bassa di insegnanti di età tra i 25 e i 34 anni. 
La differenza tra l'Italia e gli altri Paesi, misura in termini di spesa per studente, è rilevante in termini complessivi ma soprattutto se si guarda all'istruzione universitaria. Infatti per la scuola primaria i 7.991 dollari (a parità di potere d'acquisto) per studente si confrontano con gli 8.470 della media Ocse. Il divario aumenta se si passa alla scuola secondaria (quindi dalle medie in poi), con 9.163 dollari a fronte dei 9.968 medi. Ma diventa decisamente più vistoso passando all'istruzione terziaria: in questo caso igli 11.589 dollari a testa spesi nel nostro Paese si confrontano con i 15.556 degli altri Stati che aderiscono all'Ocse. E dentro il mondo universitario, spicca lo scarso peso degli investimenti in ricerca.
I modesti investimenti si riflettono, ovviamente, sul livello di istruzione generale: il numero dei laureati nella fascia d'età 19-64 anni non supera il 19%, mentre la media Ocse si attesa su un lontano 37%. Non solo: l'università non riesce sempre a garantire un'occupazione e, anche quando lo fa, non garantisce uno stipendio significativamente più elevato rispetto a chi si è fermato alle superiori. A fare più fatica sono i ragazzi che si laureano nelle materie artistiche e in quelle umanistiche. Solo il 72% dei primi e il 78% dei secondi hanno un lavoro. Va un po' meglio ai loro coetanei che hanno frequentano facoltà scientifiche, tra cui la percentuale di occupati sale all'84%. 
I NEETL'Italia è anche il Paese con uno dei numeri più alti di ragazzi che non studiano, non lavorano e non fanno percorsi di formazione. Si tratta dei cosiddetti Neet e, secondo le stime dell'Ocse, sono l'11% dei giovani di anni 15-19. Vale a dire più del doppio nella fascia d'età immediatamente superiore. Fanno parte dei Neet anche il 37% delle ragazze tra i 25 e i 29 anni, e il 26% dei loro coetanei uomini.
Michele Di Branco


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