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Mobilità, si va verso l'ordinanza

Tempi quasi scaduti per avviare le operazioni del 2017

04/04/2017
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ItaliaOggi

di Marco Nobilio 

La chiamata diretta rallenta la mobilità. Sindacati e amministrazione non sono ancora giunti ad un accordo sulla questione della chiamata diretta: un istituto introdotto dalla legge 107/2015, che cancella il diritto alla titolarità della sede (salvandola solo per chi ce l'ha già e non la perda diventando soprannumerario) e assoggetta l'accesso e la permanenza in una sede al gradimento del preside. Le posizioni dei sindacati sono chiare: da una parte Cgil, Cisl, Uil e Snals, che sembrerebbero inclini ad accettare un accordo sulla base di adeguate garanzie circa i criteri sui quali dovrebbero basarsi le scelte dei dirigenti e sulla valorizzazione del collegio dei docenti nell'ambito del procedimento e dall'altra la Gilda, che resta ferma sulla richiesta di vincolare le scelte a punteggio e graduatorie.

E poi c'è l'amministrazione che sembrerebbe orientata a chiudere solo con Cgil, Cisl, Uil e Snals. Ipotesi, questa, che non inficerebbe la validità dell'accordo (che dovrebbe essere un vero e proprio contratto nazionale integrativo). Perché, per essere valido, un qualsiasi contratto necessita che lo firmino un numero di sindacati tale da superare il 50 + 1 della rappresentatività sindacale. Percentuale ampiamente superata da Cgil, Cisl, Uil, e Snals che insieme arrivano al 92% circa. E che allontanerebbe l'ipotesi di un provvedimento autoritativo da parte dell'amministrazione. Che in caso di mancato accordo potrebbe decidere con ordinanza. Insomma, l'accordo potrebbe essere firmato subito, senza problemi. Gli ostacoli, dunque, sono soltanto di natura politica. E proprio per questo, stanno salendo le quotazioni dell'atto amministrativo.

Secondo quanto risulta a ItaliaOggi vi sarebbero alcune organizzazioni di dirigenti scolastici che non vedrebbero di buon occhio la contrattualizzazione della chiamata diretta. E che starebbero esercitando pressioni sull'amministrazione centrale per evitare di giungere ad un accordo con i sindacati. Accordo che, peraltro, non farebbe altro che dare attuazione ad un'intesa messa nero su bianco dal ministro dell'istruzione, Valeria Fedeli, e dai sindacati. Fermo restando, però, che l'intesa del 29 dicembre è un accordo di massima che fissa il punto di partenza da cui le parti dovrebbero muovere in sede di contrattazione collettiva sulla mobilità. In pratica non si tratta di un atto normativo, ma di una semplice dichiarazione di intenti, il cui inadempimento non potrebbe essere fatto valere davanti al giudice.

Ma è comunque un impegno assunto direttamente dal ministro dell'istruzione con i vertici delle federazioni sindacali di comparto. E oltre tutto si ricollega ad un'altra intesa, sottoscritta il 30 novembre a palazzo Vidoni, tra il ministro della funzione pubblica, Marianna Madia, e le confederazioni sindacali. Intesa che impegnerebbe il governo a promuovere il varo di un provvedimento legislativo che dovrebbe ripristinare la supremazia del contratto rispetto alla legge. In pratica un vero e proprio colpo di spugna sul pilastro portante della riforma Brunetta: la inderogabilità delle norme di legge da parte della contrattazione collettiva e la sostituzione automatica delle clausole contrattuali difformi con le norme di legge con cui contrastano.

Colpo di spugna che, finora, non c'è stato. E dunque, se il legislatore non provvederà tempestivamente a dare attuazione alle pattuizioni contenute nell'intesa del 30 novembre, le deroghe previste nel nuovo contratto sulla mobilità e nell'eventuale accordo sulla chiamata diretta anche per effetto dell'intesa del 29 dicembre, alla prova dei fatti, potrebbero sciogliersi come neve al sole. L'iter di approvazione del decreto Madia, però, è in fase avanzata. Il provvedimento è già stato posto all'esame del commissioni parlamentari, per i prescritti pareri, e dovrebbe giungere a conclusione entro il 29 aprile prossimo.

Dunque, le deroghe potrebbero essere messe in sicurezza prima che i tempi diventino maturi per eventuali sentenze. Pertanto, l'ipotesi di illegittimità di accordi non rigidamente conformi al dettato legislativo non sembrerebbe più plausibile. In definitiva, quindi, la decisione di chiudere l'accordo sulla chiamata diretta è solo politica. E più passa tempo più c'è il rischio di che gli impiegati e i funzionari delle unità operative degli uffici scolastici che gestiscono le operazioni di mobilità debbano rinunciare alle ferie estive. Le deroghe più importanti alla legge 107/2015, peraltro, non sono solo quelle costituite dalla parziale contrattualizzazione della chiamata diretta. Che peraltro salverebbe i dirigenti scolastici dal rischio della responsabilità penale: il contratto non è legge, dunque, la violazione contrattuale non è reato.

Le deroghe che stanno maggiormente a cuore ai docenti, infatti, sono quelle contenute nell'ipotesi di contratto sulla mobilità attualmente al vaglio degli organi di controllo. E cioè la possibilità di chiedere il trasferimento o il passaggio in almeno 5 istituzioni scolastiche, assumendo la titolarità della sede nell'istituzione prescelta verso la quale venisse disposto il movimento richiesto


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