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Migranti senza istruzione così si condanna una generazione

Rapporto Unesco sopravvivono poche illusioni.

28/11/2018
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la Repubblica

Alla partenza da un contesto di guerra o di bisogno, paura e speranza si intrecciano.

All’arrivo, fanno capire i dati dell’agenzia Onu, il compimento di un sogno tutto sommato ragionevole si scontra con una realtà fatta spesso di esclusione, con politiche che ignorano le esigenze dei più deboli e dei più giovani. «Chi non può accedere all’educazione corre il rischio di essere frustrato ed emarginato», avverte l’Unesco. Così le potenzialità dei figli dei migranti, degli sfollati, dei rifugiati, si perdono per strada, lasciando spazio all’assistenzialismo puro, e ai problemi sociali che esso comporta.

Anche se hanno sempre caratterizzato il cammino dell’umanità, dopo la fine della Guerra Fredda le migrazioni sono diventate il tema del millennio. Secondo le Nazioni Unite, sono oggi circa 258 milioni le persone che hanno lasciato il Paese d’origine, il 3,4 per cento della popolazione del pianeta.

L’Alto commissariato registra 19,9 milioni di rifugiati, oltre la metà dei quali è sotto i 18 anni. Il numero dei bambini migranti o rifugiati è in crescita rapida, con un aumento del 26 per cento dall’inizio del secolo, e potrebbe riempire mezzo milione di aule.

Almeno metà delle persone forzate ad abbandonare il proprio tetto è sotto i 18 anni. E nei Paesi industrializzati la percentuale di rifugiati e migranti in età scolare è arrivata al 18 per cento, con un livello complessivo di 36 milioni di persone. Nei soli Paesi dell’Osce, uno studente su cinque proviene da un contesto di migrazioni.

Ma in tempi di appelli populisti sembra complicato inquadrare correttamente quello che è un fenomeno epocale, non una tendenza passeggera. Può essere utile scoprire fra i dati che, com’è ovvio, non tutte le partenze sono legate all’emergenza. Più alto è il livello di scolarizzazione, maggiori sono le probabilità che si cerchi di sfruttare le proprie competenze lontano dal luogo di nascita, sottolinea l’Unesco. A voler rovesciare la prospettiva, questo vuol dire che fra i migranti ci sono competenze preziose, che i Paesi di partenza perdono ma che per quelli di accoglienza sarebbe una follia non utilizzare. La tabella sull’emigrazione intellettuale è poco consolante: a "esportare cervelli" in proporzione più di Nigeria, Burkina Faso e Colombia è l’Italia, primo fra i Paesi industrializzati.


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