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Miei cari studiosi, adesso basta. Non si gioca con le staminali

Gli scienziati non dovrebbero cedere ai loro precetti morali o religiosi

31/08/2015
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la Repubblica
ELENA CATTANEO
LA VEDOVA di una delle vittime del tragico attentato di Nassiriya aveva altruisticamente deciso di donare alla ricerca gli embrioni congelati ottenuti attraverso la fecondazione in vitro e che non avrebbe più utilizzato data la scomparsa del compagno.
MA IN ITALIA quella donazione è vietata dalla legge 40. La Corte Europea, a cui si è appellata, ha rigettato l’istanza ritenendo che il divieto impostole dalla legge italiana non leda la sua vita privata e familiare, che la morte del compagno impedisca di stabilire se egli fosse concorde nel donare gli embrioni alla ricerca e che non si ravvede un diritto di possesso sugli embrioni umani. Questi i fatti.
Secondo la sentenza, l’embrione non è “ereditabile” nonostante «l’embrione in questione contiene il materiale genetico della signora Parrillo e quindi rappresenta una parte costitutiva della sua identità». Restano in piedi molti argomenti per i giuristi: quanto sia diversa la donazione di un embrione da quella di organi; cosa accade se l’embrione è generato da un gamete preso fuori dalla coppia o nel caso di una coppia esistente che decida per la donazione. E infine, cosa succede agli embrioni non impiegabili per scopi di genitorialità e non ereditabili (il caso della signora Parrillo): chi ne avrebbe la “proprietà” e quale il loro destino.
Invece di affrontare la realtà e le considerevoli domande sollevate, intorno al caso si è scatenata l’ennesima “ridefinizione manipolata dei fatti”. Alcuni decisori politici arrivano a dire che la Corte avrebbe ribadito uno speciale “statuto dell’embrione”. Cosa non vera, perché ha tuttalpiù spiegato che il problema non può essere affrontato dall’Europa. Altri, senza fondamento, che avrebbe decretato la “ragionevolezza della legge 40”. Quella legge quasi non esiste più con l’intervento della Corte Costituzionale a cancellarne gli assurdi divieti. Ma in Italia la società civile è costretta ad assistere allo svilimento della realtà da parte di certa politica. Forse anche per questo ha perso fiducia in essa, con grave danno per tutti.
Per il lavoro che svolgo, però, mi preoccupa anche di più se lo stesso comportamento è adottato da colleghi scienziati, che si lanciano in sermoni personalistici, per portare acqua alle loro convenienze o convinzioni morali. Queste ultime, per quanto rispettabili, non sono i fatti nudi e crudi. La sentenza, infatti, non si occupa della libertà di ricerca scientifica o della liceità di prelevare e utilizzare staminali embrionali (che dobbiamo importare dall’estero, a causa di una legge ipocrita, per ricerche a vantaggio di tutti), né discute di quale staminale sia scientificamente importante studiare. È quindi inaccettabile che alcuni scienziati utilizzino ogni occasione per proporre concetti pseudoscientifici e antiquati. Si comportano come il famoso giapponese sull’isola che crede di continuare la guerra, anche quando è finita da anni. E così facendo insistono a denigrare il valore della scienza (quella degli altri), degli studi sulle staminali embrionali, definendole inutili, anche per le ipotesi progettuali di domani, ancora da pensare, “perché oggi abbiamo le cellule riprogrammate” (iPS). Mi domando se sanno di cosa stanno parlando, se sono consapevoli dei passi avanti fatti dalla ricerca o se sono rimasti sull’isola, ma solo perché gli faceva comodo.
Studio l’Huntington, una malattia in cui muoiono alcuni neuroni. Voglio capire come si formano durante l’embriogenesi. Un diritto che la Costituzione riconosce e che per me è un dovere verso i malati. Le embrionali che utilizziamo in un’università pubblica, con pareri etici favorevoli, permettono di avvicinarsi a quegli eventi della fisiologia umana altrimenti inaccessibili. Le iPS non sono adatte per questi scopi. E ancora: un eventuale trapianto di cellule neuronali nell’Huntington non può partire dalle iPS del paziente, perché queste recano il gene malato e sarebbe come “re-iniettare la malattia nel malato”. Si potrebbe spegnere il gene malato nelle iPS del paziente prima di trapiantarle, ma ci sono altri rischi e siamo attualmente privi di certezze. Potremmo usare le iPS da individui sani ma ciò vanificherebbe il vantaggio immunologico di partire da cellule dal paziente stesso. Sono tante le strade ed è d’obbligo spiegare ai cittadini dove ci troviamo, per quanto complesso sia.
Ad esempio, nel Parkinson, l’unica sperimentazione con staminali costruita su solida scienza usa embrionali umane istruite per generare i neuroni desiderati. Aggiungo che, personalmente, vivo con angoscia il fatto che in Giappone siano stati avviati impianti di iPS su un primo paziente. Prima di passare al secondo, tutto è stato interrotto. Azzardi? Fingere di essere a un traguardo indimostrato per tentare di influenzare l’opinione pubblica, per poi, tra anni, scaricare la responsabilità su “quelli delle iPS che hanno promesso invano”?
Le iPS, come per altre staminali, devono ancora dimostrare tutto. Non si può mentire. Nessuno può sapere, oggi, se avranno efficacia e stabilità e in quali malattie. Bruno Dallapiccola, alcuni giorni fa su questo giornale, parlava di queste “altre vie” facendole intendere come “garantite”, compiendo lo stesso grave errore di quelli da lui criticati perché anni fa dicevano: «Abbiamo scoperto un gene, potremo curare questa o quella malattia».
Gli scienziati sugellano tacitamente un principio comportamentale che è il postulato dell’oggettività nel loro lavoro, in base al quale s’impegnano a dire come stanno tutte le cose, a prescindere dai loro convincimenti morali o religiosi o delle loro convenienze. Si tratta di un principio, questo sì, non negoziabile per uno scienziato. Non seguirlo significa porsi in antitesi rispetto a qualsiasi etica sociale.
Senatore a vita, docente Università degli Studi di Milano

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