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Messaggero: Statali, salta la norma sui 40 anni di contributi

Ci hanno ripensato un’altra volta. Dal decreto del governo è sparita quella norma che avrebbe aumentato il numero di dipendenti pubblici da mandare in pensione forzata: era scritta nel testo approvato dal Consiglio dei ministri venerdì scorso, ma nel testo pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale non c’è più

03/07/2009
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Il Messaggero

di PIETRO PIOVANI
ROMA Ci hanno ripensato un’altra volta. Dal decreto del governo è sparita quella norma che avrebbe aumentato il numero di dipendenti pubblici da mandare in pensione forzata: era scritta nel testo approvato dal Consiglio dei ministri venerdì scorso, ma nel testo pubblicato ieri in Gazzetta ufficiale non c’è più. Quindi il pensionamento del personale con 40 anni di contributi figurativi non si farà più, anche se non è detta l’ultima parola: ora il provvedimento comincia il suo iter parlamentare, e durante i lavori di Camera e Senato potrebbe sempre rispuntare in un emendamento.
L’esodo. Già dall’inizio di quest’anno nello Stato, negli enti locali e nella sanità si sta attuando, senza troppo clamore, una sorta di grande piano di prepensionamenti. Le amministrazioni possono mandare a casa tutti i dipendenti che hanno raggiunto i 40 anni di contributi. Così ha previsto un articolo del decreto finanziario del 2008. Finora alla norma si è data un’interpretazione ristretta: per calcolare la soglia di 40 anni contano solo gli anni di lavoro reale, mentre non valgono quelli della laurea e del servizio militare (i cosiddetti “contributi figurativi”). Ma più volte il governo ha cercato di affermare l’interpretazione più estensiva.
L’età contributiva. Se si includessero nel conto anche i contributi figurativi, il numero di dipendenti pubblici che hanno maturato 40 anni di contributi crescerebbe notevolmente. Secondo quanto riferisce l’Inpdap, nel solo 2009 si arriverebbe a quasi 140 mila pensionamenti, cioè il doppio dell’anno scorso. Rientrerebbero nel limite, ad esempio, tantissimi medici che hanno riscattato gli anni dell’università e della specializzazione. Non a caso qualcuno sospetta che siano proprio le regioni a spingere perché prevalga questa interpretazione più larga. Sta di fatto che la versione estensiva della norma era stata scritta dal governo già lo scorso anno, ed è stata poi riproposta in altre occasioni. L’ultima la settimana scorsa, all’interno del decreto con le misure anticrisi. Le proteste di questi giorni hanno evidentemente convinto i ministri a ripensarci.
I premi di produttività.Un’altra questione che da mesi rimane aperta è il taglio degli stipendi per centinaia di migliaia di statali. La manovra finanziaria dello scorso anno ha tolto molti soldi dalle buste paga dei ministeri, degli enti previdenziali e anche di altri comparti pubblici. Il ministro Brunetta si è impegnato (anche con accordi scritti) a restititure una prima metà di quelle risorse entro il 30 giugno, e il resto a fine anno. Siamo a luglio e i soldi ancora non ci sono. I sindacati protestano, e non solo la Cgil ma anche la Cisl, la Uil, la Confsal. Ieri Brunetta e Tremonti hanno firmato un decreto ministeriale «che stabilisce le modalità per la restituzione delle risorse». Non è propriamente lo stanziamento dei soldi (servono 500 milioni), ma potrebbe bastare almeno a Cisl e Confsal per sospendere le rivendicazioni. Oggi intanto scioperano gli autonomi di Rdb-Cub, Cobas: contestano in toto l’operato di Brunetta e del governo nella pubblica amministrazione.
Le cartelle delle tasse. Tornando al decreto anticrisi, pensionamento degli statali a parte, il provvedimento contiene un articolo che interessa tutti i contribuenti: d’ora in poi gli agenti della riscossione avranno meno tempo per notificare una cartella di pagamento.Non più 11 mesi, bensì 9.