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Meno soldi per la scuola fino al 2035 La spesa calerà dal 3,6 al 3,1% del Pil

Nel Documento di economia e finanza previsto un taglio consistente della spesa in Istruzione legato al calo demografico. Meno studenti=meno prof. Allarme dei sindacati

16/04/2019
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Corriere della sera

di Orsola Riva

Meno soldi per la scuola fino al 2035 La spesa calerà dal 3,6 al 3,1% del Pil

«Tra i principali obiettivi programmatici dell’azione di Governo vi è anche il sostegno all’istruzione scolastica e universitaria e alla ricerca attraverso misure atte a finanziarne lo sviluppo, con particolare attenzione al capitale umano e infrastrutturale». A parlare così non è - come ci si potrebbe attendere - il titolare della scuola Marco Bussetti, che da quando è al Miur si è distinto anzi per morigeratezza («La scuola non ha bisogno di altri fondi», aveva dichiarato al Corriere in un’intervista a ottobre scorso). No, è il ministro dell’Economia Giovanni Tria, colui che tiene i cordoni della borsa, che così si esprime nella pagine introduttive al Def 2019. Buone notizie per la scuola, dunque? Mica tanto. In un piano di contabilità pubblica com’è appunto il Documento di economia e finanza a contare non sono le parole ma i numeri. Vediamoli, allora, i numeri. La spesa in istruzione che nel quinquennio appena trascorso era al 3,6% del Pil scende al 3,5% nel 2020, al 3,3% nel 2025, al 3,2% nel 2030, fino a un minimo del 3,1% nel 2035 per poi tornare a salire leggermente solo a partire dal 2045.

Meno studenti=meno prof

La spiegazione è presto data e si chiama calo demografico: negli ultimi quattro anni la scuola italiana ha perso quasi 200 mila studenti (70 mila in meno solo fra quest’anno e il prossimo) con un calo percentuale del 2,4%. E per i prossimi cinque anni ne sono previsti altri 370 mila in meno, soprattutto al Sud. A questo si aggiungono i dati, ancor più allarmanti, sulla ripresa della dispersione scolastica che nel 2016 era scesa al 13,8% ma negli ultimi due anni è in drammatica rimonta (14% nel 2017, 14,5% nel 2018). Un’emergenza che richiederebbe nuovi e consistenti investimenti per esempio in tema di estensione del tempo pieno. Ma nonostante i proclami dell’autunno («D’ora in poi, in tutte le scuole elementari italiane ci sarà il tempo pieno», aveva promesso il vice premier Luigi Di Maio), nella legge di Bilancio licenziata dal Parlamento a dicembre si sono visti soli 2.000 maestri in più: una goccia nel mare. Andrà meglio l’anno prossimo? Non pare. A leggere il Def, a fronte del crollo di iscritti legato al calo demografico, il governo prevede evidentemente un parallelo, drastico ridimensionamento degli organici, da cui il significativo calo percentuale della spesa pubblica in istruzione. I sindacati sono in agitazione e hanno proclamato uno sciopero unitario per il prossimo 17 maggio, a due settimane dalle elezioni europee e a meno di un mese dalla fine della scuola. Quanto a Bussetti per ora si è limitato a postare su Facebook un messaggio distensivo in cui promette di «governare le dinamiche demografiche riuscendo a offrire più #scuola ai nostri ragazzi». Come? E soprattutto: con quali soldi?


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