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Medicina, test difficile (e quesiti troppo tecnici)

Vista la carenza di medici che si prospetta, un limite come oggi concepito alla professione ha ancora il senso che aveva quando è stato introdotto?

05/09/2018
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Corriere della sera

Luigi Ripamonti

Il test di medicina di quest’anno? Più diffici-le rispetto a quello degli ultimi due anni. Ma è il parere personale di un diplomato di 39 anni fa (e quindi laureato 6 anni più tardi): vale quel che vale. Ci si può interrogare invece sui criteri che hanno informato i quesiti e sugli obiettivi perseguiti nella valutazione dei candidati. Sondare il livello di conoscenza di biologia e anatomia può apparire strano, visto che ci si aspetterebbe che queste materie vengano studiate dagli aspiranti medici negli anni successivi, ma misura la motivazione a dotarsi da subito di conoscenze utili alla futura professione. Altrettanto si può dire delle domande di chimica e fisica, che però sembrano piuttosto penalizzanti per chi non ha fatto studi specifici nelle scuole superiori. Restano i quesiti di logica, che dovrebbero mettere tutti sullo stesso piano, ma, anche qui, lasciano l’impressione di favorire chi ha più familiarità con la logica matematica. Detto che il test perfetto non esiste e qualunque scelta presta il fianco a critiche, rimane la sensazione che venga premiata più una media di competenze tecniche distribuite che non un’attitudine «nuda» a risolvere problemi, i quali però saranno il pane quotidiano dei futuri laureati. Quindi, verrebbe da dire che se di sbilanciamento si dovesse parlare, lo si potrebbe leggere verso una scuola del «fare» (anche intellettuale) più che del pensare. Ma ciò che si fa oggi difficilmente si farà fra dieci anni. Forse ci si potrebbe aspettare domande orientate a selezionare più il capire che il sapere tecnico. Ciò non toglie che, al netto delle opinioni, la selezione in ingresso a medicina abbia prodotto negli anni professionisti motivati e preparati. Due problemi rimangono, comunque, aperti. Il primo è che un test così concepito richiede una preparazione specifica, che se è un indicatore di motivazione, esige però anche un investimento economico non indifferente da parte degli interessati e questo qualche domanda in termini di equità sociale dovrebbe sollecitarla. Il secondo problema investe il futuro della sanità. Vista la carenza di medici che si prospetta, un limite come oggi concepito alla professione ha ancora il senso che aveva quando è stato introdotto?


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